Colpito e affondato: Niccolò Fabi – voce, chitarra e una somma di nove canzoni nuove di pacca – mette a segno il suo personale Nebraska, realizzando, come fece Bruce Springsteen nel lontano 1982, un disco acustico di rara bellezza e intensità. Isolato dal caos cittadino, immerso nella tranquillità della campagna romana, tra atmosfere soffuse, arrangiamenti minimali e tanta voglia di raccontare e raccontarsi tramite piccole storie narrate con la sapiente arte dell’affabulazione poetica tipica del cantautore romano: ecco in breve la sintesi del nuovo album di Niccolò Fabi, uscito il 22 aprile e intitolato Una somma di piccole cose.
Già con l’anticipazione del primo singolo s’erano intuite le altissime potenzialità delle nuove direzioni musicali intraprese da Fabi dopo l’esperienza in trio con gli amici Daniele Silvestri e Max Gazzè: il brano Una somma di piccole cose è infatti un distillato di poesia messa in musica e interpretata con il solito tocco sensibile e avvolgente del suo autore, un pezzo che mette già in chiaro molte delle peculiarità del disco: “abbiamo due soluzioni: o un bell’asteroide e si riparte da zero/ o una somma di piccole cose / una somma di passi che arrivano a cento / di scelte sbagliate che ho capito col tempo / ogni voto buttato, ogni centimetro in più/ come ogni minuto che abbiamo sprecatoe non ritornerà…”.
È un inizio forte e carico di pathos, ma proseguendo nell’ascolto il disco si mantiene sempre su livelli compositivi altissimi: evidentemente l’atmosfera agreste e la vita lontano dalla città hanno consentito a Fabi di osservare le cose da prospettive diverse, permettendogli e permettendosi finalmente di dar sfogo al suo lato di songwriter puro, pubblicando i brani così come venivano pensati e registrati strada facendo. Una libertà artistica che per Fabi non è mai mancata, ma mai come in quest’album emerge prepotentemente il suo modo di scrivere, messo a nudo dall’assenza di sovra-incisioni, arrangiamenti e grandi produzioni; nove brani figli di quella Filosofia agricola che è lei stessa il titolo di una delle canzoni non a caso messe al centro del disco: “più che felice fertile se la filosofia diventa agricola / la terra che ci ospita comunque è l’ultima a decidere…”.
Un modus operandi, quello di Fabi, che non a caso richiama alcuni importanti cantautori della West Coast americana e altri folk-singer come Bon Iver, Joni Mitchell, il primo Neil Young o il già citato Springsteen di Nebraska. Naturalmente Campagnano di Roma non è il New Jersey di Colts Neck, ma l’atmosfera e le intenzioni di base hanno elementi in comune; certo, le storie cantate da Fabi non raggiungono mai la disperazione e i drammi che affliggono i protagonisti di Atlantic City, State trooper o Johnny 99 e pure le copertine dei due album offrono colori e prospettive diametralmente opposte: il cielo azzurro, qualche nuvola all’orizzonte e la pace di un bosco in lontananza sono l’altra faccia della medaglia rispetto al nero dell’auto di Springsteen che attraversa la highway americana senza nessun buon auspicio. Detto questo, in comune resta però la constatazione che, a fronte dell’evidente capacità di scrittura testuale e musicale di entrambi i cantautori, spesso e volentieri una voce sussurrata su pochi accordi di chitarra sa colpire forte quanto un amplificatore sparato a mille watt.
All’interno di Una somma di piccole cose, nonostante il clima di pace e serenità che permea le nove tracce dell’album, non son certo tutte rose e fiori: oltre al filone più ecologista rappresentato dal già citato Filosofia agricola, c’è la critica al caos del vivere metropolitano di Ha perso la città: “Hanno vinto le corsie preferenziali, hanno vinto le metropolitane / hanno vinto le rotonde e i ponti a quadrifoglio alle uscite autostradali… / ma ha perso la città, ha perso un sogno / abbiamo perso il fiato per parlarci / ha perso la città, ha perso la comunità / abbiamo perso la voglia di aiutarci…”. Le cose non si mettono bene – unico brano non a firma di Fabi, ma un tributo al cantante del gruppo Hellosocrate prematuramente scomparso – è un bozzetto della realtà contemporanea che è tutto fuorché idilliaca: “Prendi tutto che scappiamo via / non c’è tempo, presto gli altri arriveranno a chiederci di più / non c’è tempo, non voltarti / a questo gioco lo sai si vince in uno soltanto… / Che cosa stiamo aspettando? Il tempo passa e le cose non si mettono bene…”). Anche il gioiello intitolato Non vale più rispecchia amaramente i tempi che stiamo attraversando, con un testo che, a suon di metafore, non risparmia critiche a una società che ha ridotto la speranza e la voglia di sognare un mondo migliore: “Amico, amico caro guarda più in alto / dalle formiche hai imparato solo a metterti in fila / molliche come sempre per cena / la regina ci nasconde qualcosa / Il sogno di un uomo che tende la mano / la speranza di una sveglia collettiva / oggi non vale più, oggi non basta più… / Ma le grandi rivoluzioni fanno molta paura / come molta paura fa fare grandi rivoluzioni…”.
E poi ci sono le canzoni “di Fabi”, quelle che più delle altre indagano i sentimenti e si insinuano tra le pieghe dell’animo umano con delicatezza e rispetto: Facciamo finta è una sorta di filastrocca da canticchiare ad adulti e bambini che usa non a caso il linguaggio dei “facciamo finta” tipico dei più piccoli: “Facciamo finta che io mi nascondo e tu mi vieni a cercare / e anche se non mi trovi tu non ti arrendi / perché magari è soltanto che mi hai cercato nel posto sbagliato…”. Una mano sugli occhi, per usare le parole postate da Niccolò su Facebook, “è una canzone dell’amore. Che poi come fa un cantautore ad evitarla. Con tutti i suoi rischi, le sue ostentazioni e le sue semplificazioni. Sempre uguali e sempre diverse. Amore di estasi, di conquista, di scoperta, di tradimento, di separazione, di nostalgia, di un attimo, della vita. La speranza che comunque sia unico. Imperfetto ma unico come noi. Questa è una canzone dell’amore di conoscenza, passato in tutte le sue stagioni, di capelli bianchi, di testimonianza, di comprensioni, di ogni giorno, di una mano sugli occhi prima del sonno”. Insomma, una dichiarazione di fedeltà reciproca come poche altre canzoni in Italia hanno saputo contenere: “Non è più baci sotto il portone / non è più l’estasi del primo giorno / è una mano sugli occhi prima del sonno / è questo che tu sei per me…”. Sempre intorno all’amore e ai sentimenti gira anche la bellissima e delicata Le chiavi di casa: “Tu prenditi i tuoi rischi / tanto amando si raddoppiano per forza / le ragioni per cui possono ferirti / stai attento alle correnti / e non scordarti le chiavi di casa…”. La conclusiva Vince chi molla, invece, merita due parole in più, tanto spiazza e lascia con il fiato sospeso: secondo il suo autore “è una canzone sulla paura. Sulla paura delle trasformazioni, quella delle grandi partenze, la paura delle separazioni. E sulla regina di tutte le paure, quella di morire, anzi più precisamente di stare per morire, che è ancora più perniciosa e chi l’ha provata sa esattamente di cosa parlo. Viene spesso consigliato in quei casi di non opporre resistenza, di non combattere con le onde ma di lasciarsi andare che la corrente prima o poi ci riporterà a riva. Chiudendo gli occhi e respirando a fondo aiuta molto anche visualizzare una immagine di quiete. La mia preferita è una collina battuta dal vento. A ripensarci bene questa forse non è una canzone”. Ecco, non c’è null’altro da aggiungere se non pigiare play e ascoltare attentamente in cuffia tutte le parole della canzone: “Lascio andare il destino / tutti i miei attaccamenti / i diplomi appesi in salotto / il coltello tra i denti… / per ogni tipo di viaggio / meglio avere un bagaglio leggero…”.
Quando un album trasmette per tutta la sua durata le medesime sensazioni di perfezione, empatia di sentimenti e coinvolgimento, allora non resta che inchinarsi all’Artista e gridare davvero al miracolo: Una somma di piccole cose si candida ad essere uno dei migliori dischi italiani di questo 2016 ed è senz’altro un piccolo grande capolavoro, un gioiellino cantautorale di rara bellezza e raffinatezza, che al di là delle singole canzoni, sa brillare di luce propria: una luce soffusa come i suoni che lo pervadono, a cui vanno a sommarsi i testi, come sempre ben scritti e mai banali, ma ormai da questo punto di vista anche Niccolò Fabi, come Silvestri e Gazzè, è una garanzia di qualità e altissimo spessore artistico.
Matteo Manente