Stavolta partiamo dalla fine, perché con il suo ultimo disco Francesco Renga vuole andare Oltre, come recita il titolo del brano che chiude L’altra metà: giunto alla fatidica soglia dei 50 anni, l’artista bresciano ha infatti deciso di guardare avanti e proiettarsi oltre quello che sono stati i suoi riferimenti musicali fino a questo momento, alla ricerca di un sound più moderno e contemporaneo per cercare di parlare alle nuove generazioni e intercettare il loro interesse.
L’altra metà, nuovo capitolo di inediti pubblicato qualche mese dopo l’apparizione al Festival di Sanremo, è per l’appunto il disco che rappresenta questa voglia di cambiamento, la summa di un processo creativo già sperimentato nei precedenti Tempo reale e Scriverò il tuo nome: con il nuovo album Renga prosegue in questa direzione, completando dal punto di vista sonoro la metamorfosi messa in atto negli ultimi due lavori, per aprire definitivamente “l’altra metà” della propria vita privata e carriera artistica. Accantonata (purtroppo per chi scrive) da anni l’esperienza e l’attitudine rock dei Timoria, in questo nuovo album il cantante bresciano ha lasciato da parte anche il tipico stile di canto melodico e tradizionale che tanto l’ha caratterizzato nel corso degli anni, in favore di un maggior approccio al pop e a certi richiami di elettronica tanto in voga nelle produzioni degli ultimi anni; inoltre, proprio nell’ottica di svecchiare le sue canzoni e parlare un linguaggio più vicino a quello delle nuove leve, Renga si è affidato nella scrittura dei nuovi pezzi ad autori giovani, quali Ultimo (L’odore del caffè), Gazzelle (Prima o poi), Bungaro (Aspetto che torni), Colpaesce (L’unica risposta, L’amore del mostro), Fortunato Zampaglione (Bacon, Dentro ogni sbaglio commesso) e Paolo Antonacci (Oltre, Finire anche noi), che hanno messo la propria firma su diversi pezzi dell’album. Il risultato è un disco breve – tante canzoni sotto i 3 minuti di durata – moderno e senz’altro al passo coi tempi; un disco meno cantautorale rispetto ai precedenti (lontani sono i tempi di Tracce o Camere con vista, tanto per fare un esempio), nel quale a livello produttivo si è scelto di far prevalere l’aspetto sonoro su quello prettamente vocale… e questo, trattandosi comunque di Francesco Renga, è un peccato, dal momento che una voce come la sua rimane pur sempre tra le più espressive e caratteristiche del panorama italiano.
A mantenere i fili con il passato artistico di Renga ci pensa in apertura la sanremese Aspetto che torni, forse il brano più tradizionale e cantautorale del lotto, non a caso presentato sul palco dell’Ariston: la canzone racconta con estrema dolcezza e delicatezza il senso di vuoto e mancanza che non si riesce a colmare nemmeno a distanza di tanto tempo (“Io che guardo sempre il cielo e sogno ancora di volare, ogni volta più lontano e poi non so più come tornare, con un poco di fortuna e due stelle da seguire, ho trovato le tue braccia ad aspettare…”), risultando essere una dedica affettuosa alla madre scomparsa da anni (“Cerco ancora nei miei occhi il sorriso di mia madre, mi manca da trent’anni e vorrei dirle tante cose, che mio padre adesso è stanco e forse sta per arrivare, che la ama più di prima ed è l’unica cosa che sa ricordare…”).
Dalla seconda traccia in avanti, L’altra metà comincia a svelare il suo volto più peculiare e innovativo, soprattutto nel sound e negli arrangiamenti complessivi. L’unica risposta è un elettro-pop che invita l’ascoltatore a fidarsi ancora dell’amore come unico rimedio per sconfiggere le delusioni che la vita ci riserva: “Allora lascia indietro la tempesta, chiudi gli occhi e fidati della tua testa, tanto in fondo cosa ci costa, non esiste un’unica risposta, però… Se in un bellissimo giorno di sole ti viene in mente di cercarmi ancora, perché è normale che mi vuoi bene, coloriamo ogni dolore… Strappa l’azzurro da questo cielo, togliti dagli occhi tutto quel nero, prenditi il rosso da questo amore per colorare ogni dolore…”. Bacon è un brano squisitamente pop e riflette i sentimenti di chi non si sente al posto giusto e si accorge di non essere quello che vorrebbe nelle dinamiche di coppia: “Ti credevo la mia luce, poi mi sono perso, ho mangiato le tue ansie come fosse bacon… I tuoi fianchi stretti, le mie mani grandi, i tuoi occhi azzurri sembrano diamanti, non sono niente per te, non sono niente per me… e le mani fredde sotto le coperte, e le cose dette senza dire niente, non sono niente per te, non sono niente per me…”. Nella successiva Finire anche noi si cantano le sensazioni di straniamento per una storia d’amore che forse si pensava potesse resistere, nonostante tutta una serie di cose intorno (il campionato, le serie tv, le scuole, i dischi…) che finiscono e cambiano con il passare del tempo: “Che strano finire anche noi che abbiamo dato tanto e raccontato di quel viaggio, i tuoi non andare quando parto, dividere gli armadi per lo spazio e poi chi la conosce questa casa se non ci metti tu le mani, e se dimentico le chiavi, che strano finire anche noi…”.
L’odore del caffè, scelto come secondo singolo e scritto dalla rivelazione Ultimo (la cui penna risulta riconoscibilissima fin dal primo ascolto), è tra i brani migliori del disco e presenta un doppio piano di lettura: per l’autore voleva essere una canzone d’amore per una ragazza, mentre Renga, mettendo mano al testo, l’ha declinata in un altro malinconico confronto con la morte della madre (riprendendo un tema già cantato anni fa in Tracce di te e in questo disco con Aspetto che torni): “E ho bisogno di dirtelo che una forza ancora non c’è, e ho bisogno di nascondere le debolezze che conosci di me, vorrei incontrarti stanotte quando il vuoto si scioglie, quando sei meno distante, vorrei trovarti stanotte, mentre il mondo qui dorme, quando mi manca una parte di te e la mattina quando mi alzo e c’è solo l’odore del caffè…”. In Meglio di notte tornano i ritmi più elettronici e quasi da discoteca, con le basi in primo piano e un groove che fa inevitabilmente ballare e strizza più di un occhio al sound caro ai più giovani; un brano molto furbo, il cui testo è un invito a lasciarsi andare senza freni per vivere a pieno ogni esperienza: “Tu prendimi per mano, senza andarci piano… E non c’è niente da fare, questa notte è una discoteca, tu portami a ballare, abbiamo tutto il tempo per bruciare e il giorno ci farà piangere, ma adesso sembra di volare…”. Si torna a melodie più classiche con l’altra ballad del disco, Dentro ogni sbaglio commesso: piano e voce per un crescendo musicale che esalta al meglio la vocalità di Renga e un testo che suggerisce di raccogliere e tenere da conto il meglio delle relazioni passate, perché “dentro ogni sbaglio commesso c’è sempre nascosto del bene”: “Ma cambiano stagioni, cambiano canzoni e noi restiamo fermi al palo… Cambiano emozioni, cambiano illusioni e noi ancora ci crediamo… Ma io vorrei vederti ancora per dirti che si spera, che l’ultimo istante trasformi la luna in candela e dirti non sei sola, tu non sarai mai sola, milioni di amori finiscono e fioriscono ancora…”.
Improvvisamente prosegue nel solco dello sviluppo di quel sound elettro-pop comune a quasi tutto il disco, raccontando questa volta la messa in discussione dei sentimenti che possono cambiare da un momento all’altro: “Hai sempre avuto ragione tu, ma la ragione adesso a che ti serve? Le cose cambiano e non c’è un perché, improvvisamente… tutte le parole non ti serviranno a niente, tutto quell’amore che dicevi era per sempre smetterà, improvvisamente…”. Elettronica alla base anche di Sbaglio perfetto, che presenta però uno dei ritornelli migliori di tutto l’album: “Siamo foto che vengono male e siamo fuori fuoco però in riva al mare, tu trova il difetto ma che sbaglio perfetto… Sotto il tramonto di un altro colore, sarà l’effetto serra o un effetto speciale, tu trova un difetto ma che sbaglio perfetto…”. Sempre in ottica di canzoni riuscite e che restano in testa quasi all’istante, ecco il terzo singolo Prima o poi, brano che parla di lontananza, di partenze ed eventuali ritorni: “Prima o poi, prima o poi, prima o poi tornerò, col mio cuore girovago… prima o poi, prima o poi, prima o poi tornerò… che fatica che faccio, ogni volta che parli io mi nascondo in un posto segreto, in un posto segreto…”. Parlare alle nuove generazioni significa, da parte degli adulti, confrontarsi inevitabilmente con il mondo dei social e delle loro implicazioni, positive o negative che siano, cercando di capire come gestire al meglio tanta tecnologia che a volte può apparire come un mostro temibile; L’amore del mostro, con un tono quasi colloquiale, affronta proprio questo aspetto del rapporto fra genitori e figli ed è, a livello tematico, una delle canzoni più centrate del disco: “Oggi sembra necessario condividere tutto, la tua vita in un profilo che rimane aperto, tra le maglie di una rete che non tiene niente, passa tutto quanto niente resta veramente… Nessuno, nessuno ha mai visto la fine del mondo, le guerre stellari, l’amore del mostro che in fondo conosco, conosci anche tu… quel lato nascosto che sai solo tu…”. Et dulcis in fundo, ecco la già citata Oltre a chiudere le danze di questa Altra metà artistica di Francesco Renga: una canzone che è un invito a guardare al di là delle convinzioni e degli steccati quotidiani, senza pregiudizi, grazie a un beat sostenuto, ritmato e molto orecchiabile: “A cosa serve ricordarsi delle lingue se poi nessuno parla mai la mia, e certe volte dentro casa sono come uno straniero che quasi mi ci perderei… E a cosa serve imboccare l’autostrada senza un motivo o un posto dove andare, se non hai più vent’anni e la radio resta l’unico rumore… Nessuno che c’ha voglia di ascoltare, mi affaccio su tutto, ma chi si affaccia su di me? Va bene, tienilo solo per te tutto il casino che sono, portami oltre ogni cosa già sentita, ogni paura, ogni confine… Va bene, tu prenditi gioco di me e fallo con poca attenzione, portami oltre, via da questa confusione, oltre il solito rumore…”.
L’altra metà è un lavoro moderno e al passo coi tempi, dunque, che ammicca al sound e ai temi delle nuove generazioni per cercare di parlare il loro linguaggio, che è poi quello che i padri – come lo è Renga – cercano di fare ogni giorno con i propri figli più o meno adolescenti. In questo senso L’altra metà insegue smaccatamente la scia del nuovo pop italiano, per non rimanere indietro e perdersi la fetta di pubblico più giovane e generalmente più interessato all’ascolto della musica. Il risultato è un disco senza dubbio piacevole, che vuole essere la sintesi della ricerca di una nuova contemporaneità, di una svolta da cui ripartire dopo anni di onorata carriera, grazie anche all’apporto di giovani autori e alla scelta di canzoni molto brevi, poco cantautorali a parte alcune eccezioni, nelle quali prevale il sound sulla voce tanto caratteristica di un artista come Francesco Renga.
Matteo Manente