Per chissà quale oscuro motivo in Italia non ha mai avuto il successo e la popolarità di certi suoi più illustri colleghi – vedi Springsteen o Dylan, tanto per fare i primi due nomi che vengono in mente – ma Tom Petty è stato senza dubbio tra i più influenti e importanti cantori che il rock americano abbia mai avuto nella sua lunga e gloriosa storia. Songwriter e musicista sopraffino, Petty ha lasciato un segno indelebile nell’universo della musica rock, grazie a quella sua inconfondibile voce un po’ nasale e quel sound tanto riconoscibile quanto imprescindibilmente ed unicamente suo, impregnato fino al midollo dei fraseggi del miglior Bob Dylan e le Rickenbacker tipiche dei Byrds. Esploso in piena epoca punk – il suo primo disco omonimo è del 1976 – ha avuto il grande merito di non lasciarsi influenzare dalle mode del momento ma di andare in direzione opposta, preservando così un certo modo di fare rock in America e non solo, riscoprendone le radici più profonde e tramandando con i suoi dischi tutta una tradizione – quella per l’appunto del classic rock americano – che sarebbe stato un peccato perdere lungo la strada.
Nato in Florida nel 1950, Tom Petty è stato uno dei più puri e fondamentali protagonisti del rock a stelle e strisce, più dolce e gentile rispetto alla carica energica di uno Springsteen o di un Mellencamp, ma non meno efficace nel creare brani dal sound inconfondibile e nel confezionare arrangiamenti sempre sublimi grazie al sapiente impasto di chitarre, tastiere e sezioni ritmiche al limite della perfezione. L’opera di Tom Petty è dunque fondamentale per chiunque ami un certo roots rock statunitense, quello fatto ancora di chitarre e sudore, passione e parole mai banali, sentimenti veri perché dettati da un’urgenza di comunicare qualcosa e di dirlo in maniera intelligente, forte ma mai sgraziata: alla pari di Springsteen, tra la fine dei ’70 e la metà degli ’80 Tom Petty è stato fra i grandi salvatori del rock and roll del suo spirito originario.
A un anno esatto dalla sua tragica quanto prematura scomparsa – avvenuta il 2 ottobre 2017 per un arresto cardiaco – è stato pubblicato An American treasure, un cofanetto celebrativo disponibile in diversi formati e curato direttamente dalla moglie, dalla figlia e da alcuni membri degli Heartbreakers, la storica band che ha accompagnato dal vivo Tom Petty per lunghi anni. La versione deluxe di An american treasure contiene 4 dischi con 63 tracce ordinate cronologicamente, suddivise tra brani inediti – come il singolo apripista Keep a little soul – versioni alternative dei suoi maggiori successi – da Here comes my girl a Lousiana rain (ma tante altre ne mancano all’appello!) – numerose rarità e demo – The apartment song, Gainesville o altre b-sides di rara bellezza e altissima qualità – e altrettante storiche performance registrate dal vivo nel corso degli anni e mai pubblicate prima, su cui spiccano per intensità una splendida Southern accents e una versione acustica per voce e chitarra di Even the losers.
Il cofanetto è un vero e proprio “tesoro nascosto” e racchiude tutte le anime e le sfaccettature artistiche di Tom Petty: quella più rock ‘n roll degli esordi di carriera (con la versione inedita in studio di Surrender, che apre il box e catapulta subito nel suo mondo musicale), l’epoca dei primi grandi successi a cavallo tra fine anni ’70 e metà ‘80 (Damn the torpedoes, Hard promises o Southern accents, rappresentati da brani come Breakdown, Here comes my girl, Lousiana rain, Rebels e una stratosferica Straight into darkness), gli anni della maturità cantautorale e dei dischi solo in apparenza orfani degli Heartbreakers (Full moon fever, Into the great wide open e il capolavoro Wildflowers, con classici del calibro di I won’t back down, Alright for now o Crawling back to you), fino alle ultime produzioni, sempre in bilico tra blues rock (Mojo), garage rock più classico (Hyonotic eye) e addirittura un disco con la sua prima band (Mudcrutch 2).
Nel primo cd, oltre alla già citata Surrender che apre le danze, trovano spazio perle come le versioni alternative di You’re gonna get it, Here comes my girl e Lousiana rain, insieme a delle eccezionali registrazioni live di Listen to her heart, Anything that’s rock ‘n roll e il classico Breakdown. Il secondo disco è forse quello più ricco per qualità di brani raccolti, dal momento che racchiude gli anni d’oro della carriera di Petty: tra outtakes inedite come Keep a little soul, Keeping me alive, Don’t treat me like a stranger e Walkin’ from the fire, alternate version spaziali di Straight into darkness, Rebels, The best of everything, Alright for now o The damage you’ve done e registrazioni live di Even the losers, King’s road e A woman in love, questo cd è un compendio di quanto la poetica e la musica di Tom Petty fossero a un livello eccelso. Il terzo cd rappresenta gli anni della maturità artistica del cantautore statunitense, con le inedite Gainesville e I don’t belong, le studio version di You and me I will meet again, Crawling back to you e To find a friend e i capolavori dal vivo di I won’t back down, Into the great wide open e Two gunslingers. Tuttavia la vera sorpresa arriva con il quarto e ultimo disco, nel quale emerge in tutto il suo splendore l’anima sudista di Tom Petty, quella più fiera e legata da sempre alle proprie radici e origini: Southern accents registrata dal vivo nel 2006 fa piangere da tanto è perfetta e vibrante, Insider (sempre dal vivo) e Down south (dall’ottimo Highway companion del 2006) la seguono a ruota, insieme a Bus to Tampa Bay e Saving grace; completano il quadro di altro un disco praticamente perfetto le outtakes You and me, Two man talking e Like a diamond, oltre a varie takes recuperate dagli ultimi lavori in studio con gli Heartbreakers (Fault lines, Sins of my youth, Good enough), i Mudcrutch (Save your water) e una delle ultime esibizioni in assoluto del rocker americano (Hungry no more).
An American treasure è un lavoro perfetto e insieme necessario, perché restituisce il ritratto a tutto tondo dell’opera e della caratura artistica di Tom Petty raggiungendo in un colpo solo due obiettivi diversi fra loro ma di pari importanza: far scoprire l’arte di Tom Petty a chi non lo conosceva affatto, attingendo direttamente alla sua musica più bella, e ricordare a tutti gli altri, seppure con un’inevitabile velo di malinconia, un amico e un compagno di strada scomparso troppo presto, un pioniere che per tanti amanti del rock ha rappresentato una fonte interminabile di ispirazione, emozione e garanzia di qualità sopraffina; il “tesoro americano” di Tom Petty brilla ancora ed è lì in tutta la sua immutata bellezza ad indicare la rotta per chi vuole avventurarsi ancora una volta tra le lande sconfinate e sempre affascinanti del rock.
Matteo Manente