MERATE – «Come quando il vento scaccia la nebbia». Un uomo e una donna, il loro passaggio dalla vita alla morte, un attraversamento agognato che resta incompiuto fino alla liberazione dal peso dei rispettivi padri.
Portato in scena domenica 21 ottobre dalla compagnia piemontese La Corte dei Folli di Fossano (CN), Nel nome del padre è il secondo spettacolo in concorso nella terza edizione del Festival nazionale di teatro – Città di Merate, manifestazione dedicata al meglio del teatro amatoriale in Italia e inaugurata lo scorso 6 ottobre con lo spettacolo Le ultime lune della compagnia La Cricca di Taranto (qui la recensione).
Una “commedia sentimentale”, come la definisce il suo autore Luigi Lunari, che si sviluppa dentro il dramma privato e condiviso dei due protagonisti, Rosemary e Aldo, persone più che personaggi, figli rifiutati dai loro padri e dimenticati dalla storia. In una scenografia plumbea, asettica, dentro la quale i personaggi portano loro stessi e i loro bagagli – Rosemary non può fare a meno della sua bambola, Aldo dei suoi libri e della scacchiera – si svolge il dialogo necessario: «Se noi due siamo qui e dobbiamo stare qui per parlare e per conoscerci – dice Aldo – è per potercene andare da qui».
Due sconosciuti, Aldo e Rosmary (qui interpretati da Pinuccio Bellone e Cristina Viglietta, diretti da Stefano Sandroni), che però sembrano conoscersi da sempre: figlia di un diplomatico capitalista disposto a tutto per i denaro lei, figlio di un leader comunista e rifugiato politico lui, Rosemary e Aldo hanno condiviso in vita la stessa sorte di internamento e segregazione dal resto del mondo.
In un atto unico, in un tempo indefinito, che si stringe e si dilata e si ripiega come una fisarmonica, si dispiega sul palco la progressiva svestizione dei protagonisti che, raccontandosi, si liberano a poco a poco degli abiti e del dolore.
Tenero, duro, rabbioso, a tratti ironico è il tono dello spettacolo, che porta in scena due vite fragili e potenti, caricate dall’interpretazione intensa dei due attori protagonisti, in grado anche di calarsi nei panni di personaggi diversi e di conferire loro credibilità nel breve tempo del flashback dei ricordi.
Due persone che si mettono a nudo, Rosemary e Aldo, che vuotano il sacco gridando, sfidandosi, piangendo, e mettono a confronto le proprie vite, le proprie mancanze («Io non ero attrezzato per la vita»); i propri sentimenti contrastanti nei confronti delle famiglie, dei padri («Mio padre era fatto così – dice Rosemary – E io no»). Non c’è giudizio tra loro, solo ascolto.
Incalzante, veloce, ben bilanciato tra intime riflessioni e picchi massimi di tensione, il testo pone le basi di uno spettacolo che acquisisce ritmo e coralità grazie all’interpretazione degli attori, che si alternano e accompagnano lo spettatore in un crescendo drammatico verso il lieto fine comune: «E adesso?», «Finalmente potremo andare a dormire senza paura di svegliarci il giorno dopo».
Claudia Farina