MERATE – «Stupisce quanto possa essere ostinato e resistente il cuore di una donna». Di donne parla lo spettacolo che sabato 12 ottobre ha aperto la quarta edizione del Festival Nazionale di Teatro – Città di Merate, e a parlare, sul palco, sono quattro donne. Intitolata From Medea, dall’omonimo libro di Grazia Verasani, la rappresentazione della Compagnia Incontri di Portici (Napoli) mette in scena la tragedia quotidiana del dolore e della colpa per un atto scellerato. Quattro donne dentro una cella parlano, si raccontano, urlano, si sfidano, si compatiscono; il tema è sempre lo stesso: l’infanticidio.
«Quando ammazzi un figlio, i morti sono due»: le parole di Vincenza, una delle quattro protagoniste femminili. Uno spettacolo che inizia ancor prima dell’inizio: le attrici sono già sopra il palcoscenico e, appena mette piede in sala, lo spettatore è portato dentro la scena.
Due letti a castello, una finestra semi aperta, un tavolo, un armadietto, una scopa e una paletta. Una porta aperta. Sulla destra, una donna davanti a una culla, in una cameretta di bambino. La scenografia è accurata e, nella sua essenzialità, dà immediatamente l’idea dello spazio: lo spettacolo è ambientato in un carcere “correttivo” femminile.
Chi è la quinta donna fuori dal carcere, in vestaglia, nella camera di un neonato? Una donna silenziosa, che non parla ma esprime esasperazione e impotenza mentre culla il suo bambino e cerca di farlo smettere di piangere, invano. Lo spettatore capirà che questa donna fa da contraltare alle quattro prigioniere: per lei c’è ancora speranza.
Un testo, quello della Verasani, che delinea il dramma della maternità spezzata, che serpeggia tra parole che alludono e non dicono. Il cuore del discorso è un grande non detto, impronunciabile, che proprio per questo si materializza come un macigno.
Tanti sono le tematiche toccate: il tema della morte e della malinconia; del ricordo, del dolore, dell’amore e della mancanza; il tema di Dio e della giustizia; quello della stanchezza, della pazzia, della resistenza. Tante le domande che si susseguono e che restano sospese nel vuoto: «Perché si vuole un figlio?» «Dove ero io?» «Basta il sangue a decidere il legame?» «Perché devo vivere con questi ricordi? Perché non posso crearmene di nuovi?» «Non ho il diritto di essere amata?».
Mettere al mondo un figlio non è soltanto un atto d’amore, ma un gesto da cui trarre amore.
“Non esiste roccia che un giorno non si sbricioli”, così scrive ancora Vincenza nelle pagine del suo diario. E quali sono i motivi per cui una donna è spinta a un gesto così tragico? From Medea è uno spettacolo di denuncia sociale, che, attraverso le voci delle quattro protagoniste, porta in scena alcuni interrogativi forti: è davvero tutto spiegabile con la razionalità? Come si spiegano la follia, il raptus, la depressione, il male di vivere?
Queste quattro donne, caratterizzate in modo diverso, trascorrono le loro giornate mitigando il dolore con la musica e i libri, espiando una condanna che è soprattutto interiore: il senso di colpa per un gesto che ha distrutto le loro esistenze e che le costringe ogni giorno a pagare «il pedaggio della tristezza».
Composto di tante piccole scene legate tra loro più dalle parole che dalle azioni, più dai ricordi di ciascuna protagonista che da una vera e propria trama, lo spettacolo – per la regia di Ramona di Martino – riserva un finale emotivamente carico, che arriva allo spettatore tanto più violento quanto più inatteso.
Claudia Farina