LECCO – «Non era il corpo che soffriva, a soffrire era la sua anima». Dopo la prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano, dal 28 al 30 novembre il personaggio nato dalla penna di Herman Melville è stato protagonista sul palcoscenico dello Spazio Teatro Invito di Lecco. In coproduzione con la compagnia del Teatro della Cooperativa, Teatro Invito mette in scena Bartleby, spettacolo tratto dal racconto Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street, tradotto da Luca Radaelli. Passato alla storia come l’autore di Moby Dick, la balena bianca, Herman Melville scrisse questo racconto negli anni Cinquanta dell’Ottocento: un testo estremamente moderno che, con un lavoro di scavo esistenziale, racconta la ribellione silente alla razionalità e al positivismo di un mondo sempre più frenetico.
Per la regia di Renato Sarti, con il giovane Gabriele Vollaro nel ruolo dello scrivano, Bartleby è uno spettacolo di grande intensità, che non lascia spazi vuoti e che coinvolge lo spettatore in un ritmo fin da subito sostenuto. A luci spente, è il monologo del narratore a invadere per primo la scena: incalzanti e vorticose, le parole dell’avvocato, interpretato in modo impeccabile di Luca Radaelli che assume di volta in volta anche le voci dei personaggi secondari, raccontano al passato la storia del giovane scrivano, che entra in scena evocato nel ricordo; è quando il narratore si rivolge a Bartleby che la storia accade al presente.
Di poche parole e di grande riservatezza, lo scrivano è caratterizzato da una presenza costante e discreta, da una fisicità minuta, sbiadita, quasi fantasmatica: immobile alla sua scrivania, Bartleby è «la sentinella perpetua del suo eremo», che mai si sposta e che si nutre solo di biscottini allo zenzero. Rivolgendosi al pubblico, il narratore descrive il suo scrivano come un giovane che esprime «pallida alterigia e altera riservatezza», verso cui si provano sentimenti di «pura malinconia» e «sincera compassione».
Il flusso di parole dell’avvocato, che attraversa sentimenti contrastanti, passando dalla sorpresa all’indignazione, dall’impotenza alla rabbia, fino al senso di colpa, sbatte contro il rifiuto indugiato ma categorico dello scrivano: «preferirei di no». Metafora dell’umanità inerte e passiva, Bartleby esaurisce a poco a poco le sue energie già esigue: impossibile per il datore di lavoro, che si pone allo stesso tempo come antagonista e aiutante, salvare il suo impiegato.
È con il narratore che il pubblico empatizza da subito, riconoscendosi nei suoi sentimenti di straniamento e inadeguatezza, per cui entrare in relazione con l’altro non è possibile. «Non c’è niente che possa esasperare di più una persona di buon senso che una resistenza passiva», dice l’avvocato, rivelando la modernità di un testo che propone una riflessione sull’altro e che va oltre il singolo momento storico, si universalizza e resta attuale.
Il ritmo incalzante del monologo e i tempi precisi dei dialoghi creano sul palcoscenico un effetto di coralità efficace e formano un tutt’uno con la scenografia essenziale – due scrivanie divise da un paravento di vetro, un calamaio e una piuma d’oca, un attaccapanni sullo sfondo nero – che verso la fine dello spettacolo trasforma la scena e con essa il tono della storia, che si chiude in un’amara cupezza.
Claudia Farina