LECCO – Un grande tappeto al centro della scena, una sorta di ring immaginario sul quale i due protagonisti, Gli Innamorati di Goldoni, si confrontano e scontrano a colpi di recriminazioni, battute argute e sarcastiche, giustificazioni. Grida, corsette, entrate e uscite di scena, mentre tutt’intorno la scenografia, insieme ai costumi curata da Gian Maurizio Fercioni, conduce in una dimora un tempo ricca e oggi decadente, dove le imponenti pareti scrostate lasciano intuire il progressivo declino economico, e a tratti anche morale, di una famiglia del settecento milanese.
L’adattamento del testo di Goldoni firmato dalla regista Andrée Ruth Shammah, prodotto dal Teatro Franco Parenti di Milano e andato in scena al Teatro della Società di Lecco nella serata di giovedì 15 dicembre, è uno spettacolo in cui l’umanità, con i suoi difetti, dubbi, incertezze, sale sul palco, rivela la sua fragilità e la precarietà delle sensazioni e delle emozioni; causa, proprio questa precarietà, di ulteriori incertezze e di relazioni tormentate.
Un adattamento che diverte ma insieme suscita interrogativi, perché in fondo l’irrazionalità e l’incapacità di dialogare anche tra chi, come i protagonisti Eugenia e Fulgenzio, dice di amarsi, non è cosa poi rara. Eugenia e Fulgenzio, quindi: due personaggi che nell’adattamento di Shammah hanno il volto di Marina Rocco e Matteo De Blasio. Due interpretazioni ben riuscite, soprattutto nel caso della Rocco, che ottimamente veste i panni di una giovane capricciosa ed esuberante, vivace e scomposta, insicura e ossessivamente gelosa. È sicuramente lei, sia nel racconto che sul palco, a condurre il gioco: un continuo alternarsi di alti e bassi emotivi caratterizzano il personaggio e lei, l’attrice, preme sull’acceleratore e poi rallenta, senza mai rischiare di essere troppo sopra le righe. Accanto alla Rocco il Fulgenzio di De Blasio, orgoglioso e ossessionato dall’onore, a tratti accomodante e subito dopo come esasperato dalla gelosia di lei, capace di afferrare un coltello e poi sprofondare nel terrore.
Uno spettacolo che, accanto alla bravura dei protagonisti, può contare anche su una buona parte corale – Roberto Laureri, Elena Lietti, Alberto Mancioppi, Silvia Giulia Mendola, Umberto Petranca e Andrea Soffiantini ben fanno da cornice alla tormentata vicenda amorosa dei due – e su trovate registiche convincenti, a partire dalla scelta di rendere la pièce una sorta di metateatro. Ancora una volta un teatro nel teatro, quindi, che per tutto lo spettacolo tiene i protagonisti con un piede dentro e uno fuori dalla narrazione: apparenti errori e dimenticanze da parte degli attori, dialoghi che sconfinano dalla rappresentazione nella realtà e viceversa e un “Goldoni” seduto di spalle sulla sedia da regista divertono il pubblico e danno ulteriore ritmo al già vivace susseguirsi di effusioni amorose, liti furiose, pianti e poi di nuovo quiete e tenerezze.
Un susseguirsi che sembra non esaurirsi mai, sino all’ultima scena, dove pur dinanzi a un apparente felice epilogo permane come un dubbio, un senso di incertezza, di equilibrio precario, che dopo aver accompagnato lo spettatore per tutta la rappresentazione lascia, nell’aria e intangibile, il timore che nulla possa essere certo fino in fondo. Che la quiete, l’armonia ritrovata, non possano durare in eterno.
Valentina Sala