Il film di ottobre: Il Flâneur consiglia “Boyhood”, ultimo lavoro di Linklater

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Trentanove giorni di riprese in dodici anni per Boyhood, il nuovo ambizioso esperimento cinematografico di Richard Linklater, nelle sale italiane a partire dal prossimo 23 ottobre. Al centro della pellicola l’ordinaria vita di una famiglia normale, dove il protagonista, Mason (Ellar Coltrane), passa dall’infanzia all’adolescenza, fino all’età adulta. Accanto a lui la sorellina Samantha e i genitori, interpretati da Ethan Hawke e Patricia Arquette. Qualcosa di mai visto prima, dove il tempo che passa segna i personaggi tanto quanto gli attori.

LECCO – Scrivere il primo articolo di questa rubrica che Il Flâneur dedica al film del mese da consigliarvi è emozionante. Non solo perché proporre una pellicola meritevole di essere vista, al giorno d’oggi, con i costi dei biglietti mai in ribasso e con le persone che cercano di centellinare le visite alle sale cinematografiche, assume un’importanza maggiore del solito. È emozionante, dicevo, anche per l’unicità che caratterizza Boyhood, ennesima opera sperimentale e coraggiosa del regista texano Richard Linklater e primo film che mi sento di invitare alla visione.

Prima della proiezione ho sentito e letto frasi entusiastiche in merito al film. Frasi come «Boyhood è l’esperienza cinematografica dell’anno» o «Linklater stupisce ancora con il film più bello della sua carriera». Ma chi legge sa quanto alle volte siano fuorvianti e circostanziali le parole usate per il lancio pubblicitario di un film: il cinema è anche industria e business e quindi è giusto che la locandina faccia innamorare lo spettatore e che il trailer trascini le persone, creando, in certi casi, aspettative ed entusiasmo anche al di là dell’effettivo valore dell’opera. Ecco perché di solito, prima di vedere un’anteprima, cerco di non lasciarmi condizionare da chissà quale forma di campagna virale, anche quando l’autore del film fa parte di quella cerchia di registi che hanno contribuito a comporre buona parte del mio amore per questa forma d’arte, come in questo caso. Ma stavolta è stato diverso. Mi sono fermato qualche secondo davanti allo schermo ancora spento, per riflettere e domandarmi che cosa davvero mi sarei dovuto aspettare dal regista di Austin.

boyhood3Regista che gioca con il tempo e le emozioni, è nell’ormai lontano 2002 che Richard Linklater decide di andare oltre se stesso, oltre tutto quanto sia mai stato creato nella storia del cinema. Uno dei suoi più grandi pregi è, infatti, la sperimentazione, una parola che il coraggio lo trasmette fin dalla sua fonetica e della quale il cinema sembra avere una grande paura. Paura della quale anche Hollywood negli ultimi anni ha dimostrato di essere vittima. D’altronde che a Linklater piaccia sperimentare col tempo e modularlo in base al racconto è noto sin dalle sue prime pellicole, tra cui Slacker, La vita è un sogno, SubUrbia e naturalmente la trilogia di Before, diluita in quasi vent’anni. Ma è con Boyhood che decide di osare ulteriormente, di giocare ancora più in profondità nell’universo diegetico della narrazione. E lo fa raccontando semplicemente il corso della vita attraverso il mezzo artistico che più di ogni altro ha cercato nella sua storia di fruire allo spettatore il percorso esistenziale di finzione con le modalità più possibilmente simili alla realtà. Non riuscendoci completamente, però, perché sappiamo benissimo, come affermava Hitchcock, che il cinema è la vita, con le parti noiose tagliate.

boyhood1Il cinema è infatti anche spettacolo, intrattenimento. Rimarcare e sottolineare i punti di svolta nella narrazione di una storia è fondamentale per regolarne il suo scorrere e per delinearne la sua struttura e la sua sensatezza. Ma ecco che, per la prima volta, Boyhood va oltre tutto questo. È un film cresciuto con il protagonista, a braccetto. Dal 2002 un gruppo di attori e una troupe cinematografica si sono ritrovati ogni anno per qualche giorno, girando un pezzo di film, filmando una parte di vita. Senza colpi di scena, effetti speciali, invecchiamenti generati da lunghe sedute di trucco. Boyhood è cresciuto ed è invecchiato come una vera famiglia e seguendo la legge della vita, non quella del cinema. Almeno fino alla conclusione dei 165 minuti.

Ellar Coltrane è Mason, il bimbo protagonista che diventa uomo insieme ai genitori (Ethan Hawke e Patricia Arquette). Nel film vedrete la loro trasformazione, che altro non è che la trasformazione di Ellar, Ethan e Patricia. Mai era successo prima che in un’opera di finzione si mostrasse tanta verità esistenziale. Mai come in questo film i personaggi crescono e si evolvono, traendo linfa ed esperienza dalla crescita stessa degli interpreti. Ecco quindi che le passioni del giovane Ellar diventano quelle del giovane Mason, modificandosi e/o mantenendosi nel tempo e col tempo. L’esistenza di questa famiglia ci viene così rappresentata da Linklater con il vero incedere della vita, che in numerosi casi è costellata di attimi e avvenimenti pressoché interlocutori e di passaggio.

boyhood4Mason non è un supereroe, non ha chissà quali poteri. Non vuole diventare il presidente degli Stati Uniti o salvare il mondo e non rientra in qualche cosa di eccezionale o di unico, tale da meritare di essere ricoperto di attenzioni speciali da parte di una macchina da presa. Tuttavia Mason in qualche modo lo è di diritto, meritevole, come ognuno di noi del resto. Semplicemente perché Mason esiste, e cresce. Vive i primi amori, la separazione dei genitori, le nuove relazioni della madre, i traslochi, le paure del futuro e le malinconie verso il passato e soprattutto gli esempi da non seguire e il conseguente terrore di aver perso la via maestra. È la semplicità della vita ad avere qualcosa di eccezionale.

In Boyhood il Bildungsroman si fonde con il cinema e con il tempo che passa. Linklater si adegua a questo e lo fa con grande saggezza e bravura, pur mantenendo una meticolosa attenzione ai dettagli. Si lascia trasportare dagli avvenimenti che la vita filmica gli presenta. Lascia che la narrazione nasca spontanea e, di fatto, la libera da qualsiasi tipo di scheletro drammaturgico. E come nessun altro riesce ad avvicinare realtà e finzione, cinema e vita. Ancora una volta, dopo oltre un secolo di vita, il Cinema sa e può mostrare lati finora inesplorati. Grazie a Linklater per la sua audacia, per questa sfida, per il suo cinema capace di creare una sorta di magia empatica nello spettatore, con la sola semplicità dei sentimenti e del tempo che scorre.

Davide Sica 

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