Diane è una madre rimasta vedova alle prese con la problematica e sanguinosa crescita del figlio adolescente Steve. Il talento geniale e cristallino del regista e attore Xavier Dolan ha conquistato Cannes e si appresta a raggiungere il red carpet degli Academy Awards. Si tratta di “Mommy”, pellicola che esce nelle italiane il 4 dicembre 2014.
LECCO – Segnatevi questo nome, se già non l’avete fatto: Xavier Dolan. L’accento sull’ultima a è d’obbligo. Lui è canadese, vive a Montréal ed è probabilmente il più grande talento cinematografico a livello mondiale. Nonostante il geniale e cupo thriller di David Fincher, L’amore bugiardo – Gone Girl, esca proprio questo mese (un pensierino a riguardo dovrebbero porselo i distributori italiani) e sia indubbiamente l’altro film del mese e dell’anno, Xavier Dolan per la sua incredibile precocità e per la sua matura e visionaria talentuosità si prende di diritto la palma come film di dicembre 2014.
Premiato con il Grand Prix della Giuria all’ultimo Festival di Cannes, Mommy è un dolente mélo, struggente e dilaniante nella sua concezione e vibrante nella messa in scena. Al centro delle vicende una madre vedova (Anne Dorval) che si ritrova a dover gestire il suo violento figlio adolescente Steve (Antoine Olivier-Pilon), un giovane complesso e con il quale è estremamente difficile relazionarsi.
La pellicola è il quinto film da regista di Xavier Dolan, enfant prodige del cinema canadese, nato come attore e doppiatore (è stato la voce francese di Rupert Grint nella saga di Harry Potter e di Taylor Lautner in quella di Twilight) e poi dedicatosi alla regia dal 2009, con il suo primo film J’ai tué ma mère, una sorta di I quattrocento colpi contemporaneo, dove assistiamo a un primo triangolo tra un figlio adolescente che ama rifugiarsi nell’arte, il suo ragazzo e il crudo rapporto con la madre, il tutto tratto da una sceneggiatura che lo stesso Dolan scrisse a sedici anni.
Dopo aver confermato il suo talento stilistico con Les amours imaginaires ed essersi superato con un racconto di formazione, come si può definire Laurence Anyways, Dolan debutta nel 2013 alla Mostra di Venezia, dove si fa apprezzare per la prima volta con un’opera non scritta da lui, Tom à la ferme, a metà tra un ambiguo thriller psicologico e un mélo disarmante. E ora Mommy, che inspiegabilmente fa capolino in Italia da primo film di Dolan visibile al nostro pubblico, con altre quattro pellicole arretrate. Un lavoro con cui ritorna allo stile della sua opera prima, ma lo fa con una maturazione a tutto tondo decisamente più completa.
Visivamente qualcosa di ipnotico, il film è girato in formato 1:1, quindi ulteriormente focalizzato sugli sguardi dei personaggi, sulle emozioni dei problematici protagonisti, avvolgente nel suo rapporto con lo spettatore grazie anche a un uso geniale della musica e delle canzoni. Un repertorio che spazia tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90, melodie funzionali al racconto e alla storia stessa dei personaggi, incluse in un universo diegetico dal quale Dolan non si sposta, conscio dell’importanza del rapporto tra note del film e storia stessa dei suoi protagonisti. Ecco, quindi, Vivo per lei di Bocelli, Experience di Ludovico Einaudi, Lana Del Rey, gli Oasis e Dido: e in tutto questo Dolan riesce a non scadere nella retorica e nello stereotipo, riesce a farci ammaliare da una nevrosi e una violenta crudeltà che sono parte più della vita che degli stessi personaggi del film.
È Dolan, come lui stesso ha ammesso, a raccontarsi nella violenza di Steve, al quale associa anche una personalità più disturbata e borderline della sua, ma al quale è chiaramente affrancato da un passato, sia filmico che privato, che spesso gli è appartenuto. In questo binomio esplosivo si inserisce la vicina di casa dei due, una donna che riuscirà a equilibrare molto dei protagonisti e saprà risultare uno spartiacque inevitabile per la vita di Diane e Steve.
Ma il pregio migliore di Xavier Dolan e del suo cinema è l’originalità, la continua ricerca di sottotesti narrativi nuovi e originali per raccontare un dramma che ci mostra con la potenza e la forza di un picchiatore navigato, senza semplici e ruffiani escamotage, semplicemente con il mero scontro tra due poli in conflitto, che ristagnano tra urla e insulti, scorrettezze ed esuberanze ma proseguono verso un amore sano, vero, sincero e, soprattutto, liberatorio. E nonostante tutto questo, paradossalmente le scene dove la forza di questo film viene espressa con maggior incisività sono quelle dove un semplice gesto, un bacio, uno sguardo e un movimento sanno colpire più di una parola. Dolan ti strappa il cuore, e poi te lo mostra su un piatto d’argento per dirti: «ecco qua, la vita è crudele e io ti mostro la crudeltà ma anche l’amore e la speranza».
Tutto questo tramite scelte innovative, ambiziose, sfacciate e spavalde, tutte caratteristiche che non possono non appartenere a un ragazzo poco più che ventenne, che ricorda poco o nulla della storia del cinema, che ama incondizionatamente i film della sua infanzia ma che trae linfa e ispirazione soprattutto da altre forme d’arte come la pittura, la fotografia e la moda. Tutto questo non fa altro che rendere il cineasta Xavier Dolan ancora più magnetico, con un carisma raro che trasmette tramite la sua vita, il cinema, i suoi racconti.
Il talento di un regista praticamente sconosciuto in Italia, del quale sarà impossibile fare a meno non appena il suo nome arriverà sulla bocca di chiunque, si snoda in questo suo ultimo viscerale lavoro familiare, dove per familiare s’intende la sua meticolosa costanza nell’indagare sull’universo intimo e personale di madri, figli, donne, uomini, adolescenti, gay, etero, violenti, sbandati, vedove, depressi, poveri e borghesi, dilaniati da ostacoli che crescono all’interno della famiglia, si sviluppano e prendono corpo tra odio e amore, in un contrasto alle volte netto e alle volte sottile, con la sua capacità di saperlo raccontare ogni volta in un modo rinnovato senza perdere intensità e soprattutto verità.
Il cinema di Xavier Dolan: smascherato, vero e per questo spaventosamente inquietante. E spaventosamente bello.
Davide Sica
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