LECCO – Il 2016 è già cominciato e il cinema ha fatto parlare di sé fin dal giorno di Capodanno, grazie al boom registrato nelle sale di Quo Vado?, nuova commedia comica firmata Checco Zalone. Ma prima di addentrarci nel nuovo anno con un Film del Mese da consigliarvi, facciamo un breve riassunto sulle pellicole che hanno caratterizzato queste ultime settimane del 2015, dal capolavoro della Disney/Pixar Inside Out al cinema indipendente americano di alto profilo come Quel fantastico peggior anno della mia vita.
Inside Out di Pete Docter
Capolavoro assoluto del 2015, e non solo nel campo del cinema d’animazione, Inside Out è la nuova dolceamara riflessione della Pixar sul complesso periodo dell’infanzia, raccontata attraverso la crescita della piccola Riley, costretta a traslocare con la famiglia e a cambiare ambiente scolastico. Nella sua mente convivono le più importanti emozioni: Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto. La Pixar raggiunge livelli di introspezione mai toccati prima, confermando la straordinaria capacità di non limitarsi a creare mero cinema d’intrattenimento e di essere una convincente fabbrica di sogni che abbraccia il mondo degli adulti e dei bambini, stimolando un’analisi sulla propria infanzia e sul proprio percorso di crescita attraverso un romanzo di formazione dai colori sfavillanti, con uno stile autoriale che non rinuncia, però, al suo richiamo mainstream.
45 anni di Andrew Haigh
Dramma raffinato che tratteggia in modo inquietante la fragilità di un rapporto di coppia, anche quando si riflette in un matrimonio lungo quasi quarantacinque anni. Geoff e Kate stanno per festeggiare il loro anniversario ma l’apparente solidità scricchiola il giorno in cui arriva la notizia del ritrovamento del corpo della ex fidanzata dell’uomo, scomparsa tragicamente anni prima sulle Alpi svizzere. In una cornice delicata e sobria, Haigh costruisce un film dalla lucida e feroce lettura dei rapporti umani e delle minuziose insicurezze dei suoi protagonisti. Un film che si poggia sulle monumentali performance di Tom Courtenay e Charlotte Rampling e che incanta per la sincerità con la quale decide di rischiare un argomento stratificato e non semplice.
Il ponte delle spie di Steven Spielberg
Probabilmente la più grande sorpresa dell’anno. Si, perché Steven Spielberg ci aveva abituato a un cinema legato alla spettacolarizzazione di uno stile che si è quasi sempre rifatto alla concezione più enfatica del linguaggio cinematografico. Il tutto sempre arricchito da una buona dose di retorica, che ha quasi sempre limitato il suo pur grande contributo innovativo alla Settima Arte. Il ponte delle spie è tutt’altro: Spielberg confeziona un thriller vecchio stampo, aggiornando la sua filmografia storica e, grazie alla brillante scrittura dei fratelli Coen, imbastendo una trama, tratta da una storia vera, imperniata sulla figura dell’avvocato James Donovan. Un Tom Hanks in perfetta forma, classico ordinary man dai profondi valori etici e costretto a difendere la spia russa Rudolf Abel – magistrale la prova di Mark Rylance – e a condurre un delicato scambio di prigionieri nel bel mezzo della Guerra Fredda, in una Berlino lacerata dal confronto bellico. Spielberg dimostra, qui, di saper creare opere dall’impianto più sobrio e meno dipendenti dal suo enorme talento stilistico.
Quel fantastico peggior anno della mia vita di Alfonso Gomez-Rejon
La più convincente operazione indie americana dell’anno la costruisce il promettente Alfonso Gomez-Rejon che in Me And Earl & the Dying Girl (malauguratamente traslato ne Quel fantastico peggior anno della mia vita) racconta senza cadere in furbi patetismi la storia del giovane Greg (Thomas Mann), costretto dalla madre a fare amicizia con la compagna di scuola Rachel (Olivia Cooke), malata di leucemia. Sulle basi di una trama non proprio originale, Gomez-Rejon realizza un film divinamente equilibrato tra comicità leggera ma raffinata e dramma sincero ed emozionante, grazie anche alle musiche di Briano Eno. Stupende citazioni pop e cinefile, con Greg e il socio Earl alle prese con le parodie di pellicole di culto e, nel complesso, una libertà produttiva che stupisce per un prodotto indipendente di questo tipo.
Davide Sica