Radio Flâneur: “THE TIES THAT BIND. THE RIVER COLLECTION”
Un fiume in piena, ovvero come Bruce Springsteen è diventato “The Boss”

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LECCO – Un fiume in piena: questo era Bruce Springsteen a cavallo tra 1979 e 1980, quando si ritrovò a pensare al suo quinto album in studio. Una foga creativa iniziata già un paio d’anni prima, durante le registrazioni di Darkness on the edge of town, una fluidità compositiva che proseguì incessante e che lo portò a scrivere a getto continuo decine e decine di nuove canzoni per quello che, alla fine di due anni di dura selezione, sarebbe diventato The River. Una gestazione lunga per un disco pensato, almeno inizialmente, come album singolo; poi però, vista la quantità di ottimo materiale prodotto, quel disco originariamente intitolato The Ties That Bind finì per trasformarsi nel primo album doppio della carriera di Bruce Springsteen. Tantissime le canzoni registrate durante quelle sessions insieme alla E Street Band, meravigliosa rock n’ roll band che mai come in questa occasione lasciò la propria impronta musicale su quei brani; alla fine soltanto una ventina di quelle incisioni finirono effettivamente nei solchi di The River, ma molte di più furono scartate e restarono fuori dall’album – alcune davvero inspiegabilmente! – alimentando fra i tanti appassionati di Springsteen la diffusione di numerosi bootleg che raccoglievano parte di quelle rarità tanto belle quanto desiderate.

Oggi, a trentacinque anni esatti di distanza, quelle tracce tanto ambite tornano finalmente a brillare in tutto il loro splendore, grazie al cofanetto The Ties That Bind. The River Collection, rilasciato dal Boss per celebrare degnamente uno degli apici della sua carriera. Oltre alle 22 tracce audio non incluse nell’album e qui raccolte nel cd The River Outtakes, il box set contiene naturalmente il doppio The River rimasterizzato, la versione singola pensata per il 1979 (qui riportata soltanto come The River Single Album, a differenza del titolo originario) e ben tre dvd: due sono la registrazione video di buona parte del concerto tenuto a Tempe durante il River Tour del 1980, mentre il terzo è un bellissimo documentario firmato da Thom Zimny nel quale Bruce, armonica e chitarra acustica alla mano, ricorda il processo creativo che portò alla realizzazione di The River. Insomma, uno scrigno dalle mille potenzialità, un cofanetto di grande qualità e valore, che rende omaggio nel migliore dei modi a una vera e propria pietra miliare del rock.

Se è vero che è impossibile decretare oggettivamente il miglior disco di Springsteen – ognuno avrebbe inevitabilmente il suo – è altrettanto vero che The River è stato il primo ad avere un grande riscontro anche dal punto di vista strettamente commerciale, travalicando i confini americani e portando Bruce e la E Street Band a intraprendere un memorabile tour europeo nel 1981. A livello di sound, The River è senza dubbio anche l’album più variegato della discografia del Boss: venti tracce che alternano ballad a scatenati rock n’ roll, passando dall’intensità di brani come The River, Independence Day, The price you pay, Drive all night o Point blank a pezzi incendiari e festosi come Two hearts, Out in the street, Ramrod, Hungry heart o Cadillac Ranch. Il doppio album del 1980 – e questo box set non fa altro che confermarlo – contiene tutte le facce di Bruce Springsteen, da quella più malinconica e riflessiva a quella più gioiosa e sfacciata: The River è il disco della maturità di Springsteen, scritto da un trentenne che inizia a fare i conti col mondo adulto e reale, analizzando tutti quei lacci che legano le persone nel bene o nel male, dal matrimonio ai rapporti  interpersonali, dalle relazioni sociali a quelle lavorative o familiari. Un trentenne che ha abbandonato la spensieratezza giovanile e i sogni di redenzione presenti in Thunder Road e Born to run, un trentenne che ha pagato il prezzo e fatto i conti con la rabbia, la disillusione e l’oscurità ai margini della città cantate a squarciagola in Badlands e che qui inizia un nuovo percorso di consapevolezza. Ma The River, al pari dei suoi predecessori e nonostante la varietà di stili contenuti al suo interno, è anche un disco studiato fino all’ultimo dettaglio, figlio della nota puntigliosità del suo autore: dopo le prime sessioni di lavoro, infatti, il disco doveva essere un album singolo, ma “alle canzoni mancavano coesione e intensità concettuale – racconta Springsteen nel docu-film The Ties That Bindper questo sono tornato in studio di registrazione per completare il lavoro”.

the riverEcco la maniacalità e la precisione di Springsteen, un autore che nel 1979 si ritrova a dover far faticosamente coesistere l’anima di ottimo e prolifico songwriter – sempre più attento alle vicende che interessano tutta la comunità dei vari Joe, Mary e Wendy cantati fino ad allora – e quella di leader di una delle migliori rock n’ roll band della storia: un compito non facile, per il quale si rendono necessari non uno, bensì due dischi. È solo così che The River trova tutta la sua compattezza e linearità; la sua grandezza sta proprio nell’aver saputo unire il songwriting di Independence day e Wreck on the highway alla forza rock n’roll di Ramrod e Cadillac ranch, facendo emergere in tutta la loro grandezza sia la profondità di scrittura di Springsteen, sia il livello mostruoso del sound raggiunto in quegli anni dalla E Street Band, guidata per l’occasione dal tocco e dalla sensibilità di Steve Van Zandt, chitarrista e braccio destro del Boss qui presente anche in veste di produttore del disco.

Ogni nota e ogni parola di quelle canzoni non sono mai lasciate al caso: tutto è studiato nel dettaglio, tanto che le liriche dei testi – come testimoniato da alcune outtakes e dalla riproduzione del taccuino d’appunti del Boss inserito nel box – hanno subìto un lungo e laborioso processo di trasformazione prima di assumere la versione definitiva che oggi conosciamo. Anche per questo motivo il periodo relativo alle registrazioni di The River risulta tra i più prolifici e ricchi di spunti per il rocker del New Jersey, tanto da permettergli scartare un numero esagerato di ottime canzoni, ora finalmente pubblicate in quello che è il vero piatto forte di tutto il cofanetto: The River Outtakes, una raccolta di ben 22 tra le migliori tracce non inserite nella versione finale di The River. E c’è davvero da restare a bocca aperta per la qualità di alcuni brani scartati che figurano adesso nel terzo e quarto cd di questo cofanetto: lo stesso Springsteen nel documentario di Zimny ammette ridendo di non saper spiegare il motivo per cui brani come Roulette, Loose ends, Be true, Take ‘em as they come, Where the bands are o Restless night siano stati esclusi per lasciare spazio a pezzi oggettivamente minori come Crush on you. Davvero pazzesco se si pensa alla qualità musicale espressa in queste outtakes: e non mi riferisco solo ai pezzi già conosciuti grazie al bellissimo Tracks del 1998, ma soprattutto a brani fino ad ora inediti come Meet me in the city, Party lights, Night fire, Little white lies, The man who got away o la splendida Stray bullet, una ballatona che si aggira miracolosamente dalle parti di Wages of sin – scritta soltanto un paio d’anni più tardi – e che nulla ha da invidiare alle sorelle maggiori e più blasonate come Racing in the street o Drive all night.

Ascoltando e vedendo questo scrigno dei tesori si capisce chiaramente una volta di più quanto The River abbia segnato una tappa fondamentale e decisiva nella carriera di Springsteen: da qui in poi Bruce compirà il salto definitivo che lo porterà verso la leggenda, verso quell’appellativo di The Boss che tanto disdegna ma che in realtà è semplicemente il frutto meritato di un processo creativo di altissimo livello, un fiume in piena che ha prodotto uno dei dischi più belli e importanti del rock. E The Ties That Bind. The River Collection altro non è che la fotografia più nitida possibile di questo flusso ininterrotto di musica e parole, una fotografia da custodire gelosamente e da tramandare ai posteri. Il processo di maturità artistica e umana di Bruce Springsteen comincia proprio con The River e colui che solo qualche anno prima veniva definito come “il futuro del rock and roll” diventerà in breve tempo The Boss. Certo, prima del successo planetario di Born in the USA ci saranno ancora da affrontare i fantasmi in bianco e nero di Nebraska, ma è innegabile che lo sviluppo e le basi che porteranno ai successivi due album trovino le proprie fondamenta in quei lacci che legano e che non si possono più spezzare: “you can’t break the ties that bind”.

Matteo Manente

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