Valori, amore, vita: è con queste tre semplici parole che i Nomadi sintetizzano già dalla copertina il loro nuovo disco di inediti, intitolato Solo esseri umani. Intramontabile al passare del tempo, incurante delle mode e soprattutto sopravvissuta a sé stessa senza mai snaturarsi troppo nonostante i numerosi cambi di formazione, la band capitanata da Beppe Carletti – 75 primavere il prossimo agosto – torna in pista con dieci brani inediti che parlano di emozioni e stati d’animo che caratterizzano spesso le nostre vite in questi tempi così incerti e non semplici da affrontare. Solo esseri umani è un album come sempre ben fatto e curato tanto nei testi – ad opera di più autori, come da tradizione del gruppo – quanto nelle musiche e negli arrangiamenti; costruito principalmente su un sapiente intreccio di basso (Massimo Vecchi), batteria (Daniele Campani) e tastiere (Beppe Carletti) per mettere in risalto la voce potente di Yuri Cilloni, il nuovo disco dei Nomadi difetta solo un po’ di quel guizzo rock che spesso ha contraddistinto le produzioni della band di Novellara: nessun testo apertamente impegnato o riferito esplicitamente a questioni d’attualità come ci si potrebbe aspettare da chi ha fondato la propria carriera su brani del calibro di Dio è morto, Come potete giudicar o Noi non ci saremo, ma soprattutto pochissime chitarre elettriche e nessun assolo da parte di Cico Falzone per graffiare e dare una marcia in più a pezzi pur sempre godibili e sinceri, frutto sicuramente di un buon artigianato che affonda le radici in un passato glorioso e in una storia incredibile che tra un paio d’anni toccherà i 60 anni di carriera.
Solo esseri umani contiene dieci brani inediti che per i Nomadi rappresentano “l’esortazione e l’incoraggiamento a scrutare sé stessi, per conoscersi mettendosi nella parte del cuore e scoprire i propri desideri per realizzarli”, un’operazione sicuramente “non semplice ma indispensabile”. Scritte durante i mesi di forzato lockdown, le nuove composizioni risentono in parte del clima dell’ultimo anno di pandemia, ma riescono comunque a trovare una chiave di lettura positiva che riflette quel senso di speranza, di umanità da mantenere e di voglia di non arrendersi che ha sempre contraddistinto il gruppo emiliano; canzoni che in buona sostanza vogliono essere un’iniezione di fiducia e una piccola scossa per reagire, come sottolineato dai ritmi celtici e festosi del primo singolo, Frasi nel fuoco: “E dentro a un cuore puro c’è solo verità, sei come il sangue delle mie ferite, ho attraversato l’inferno per te…”. I Nomadi suonano come se fossero i Modena City Ramblers e il risultato, tra fisarmonica, flauto, percussioni e il violino di Sergio Reggioli, è sicuramente uno dei più interessanti dell’intero lavoro.
Solo esseri umani, oltre a dare il titolo al disco, viene riproposta anche in chiusura dell’album in un duetto con l’amico Enzo Iacchetti; il testo è un’invocazione a tutte le persone affinché mantengano sempre i propri valori e la propria umanità, senza cedere all’indifferenza: “Non chiudete la porta della coscienza buttando la chiave dell’indifferenza, vogliamo volare alzando in alto le mani, non ci sono diversi, solo esseri umani…”. Tra le canzoni del nuovo album dei Nomadi ce n’è anche una dedicata all’amico e leader Augusto Daolio, intitolata Il segno del fuoriclasse: “Dopo 28 anni l’ho personalmente voluto – ha spiegato Beppe Carletti – non scrivo testi, ma ho chiesto che venisse ricordato l’Augusto, questo fuoriclasse che alla fine è sceso dal palco, una canzone che credo rimarrà nella storia dei Nomadi”. Un omaggio sentito allo storico cantante prematuramente scomparso nel 1992, che ne tratteggia il talento smisurato: “Eccomi amico mio, c’hai messo a terra con l’ultima finta, sei sceso dal palco e stavolta sei uscito davvero… Uso la penna perché trema la voce e col microfono non sono capace di dare vita ai racconti, ai nostri momenti o di far sorridere i presenti… I nostri sogni cavalcavano il vento, invece a te bastava solo il talento… Ed il ricordo si fa leggero se ti rivedo in ogni angolo del cielo, in fono a un sogno, dentro ad un lampo, nei ragazzini che si affacciano sul palco…. Stavolta sei uscito di lato, rubando il tempo ad un altro saluto, senza nessuno che non abbia capito il segno del fuoriclasse…”.
In Fidati di me compaiono i primi (e quasi unici) accenni di attualità; il brano è un pezzo dai toni quasi sarcastici e beffardi, nel quale si punta il dito su chi – politici e altre categorie affini – giura di fidarsi del proprio operato, salvo poi smentirsi e raccontare bugie su bugie soltanto per soddisfare il proprio tornaconto personale: “Alzo gli occhi e guardo il mare mentre c’è chi uccide il sole, e non vedrò mai più un lavoro da sfruttare, una vita da giocare… Sapessi quante volte sono stato ad aspettare, a contare giorni e ore, senza far rumore… e c’è ancora chi mi dice… fidati di me!”. Impegno e attualità tornano a far capolino anche in C’eri anche tu, canzone che affronta il fenomeno delle migrazioni partendo dal ricordo di tutti coloro che sono dovuti partire per qualche destinazione lontana con la famosa valigia di cartone: “C’eri anche tu con la valigia di cartone, a guardare in fondo al mare, con in tasca la speranza di chi non vuol morire e c’è chi sente ancora il vento che attraversa la sua pelle… nel cuore lacrime no!”.
I sentimenti di amore e vita, o di amore per la vita, sono alla base di Abbracciami ancora una volta, una bella ballata cantata dal bassista Massimo Vecchi nella quale, prima di un distacco d’ogni genere, si chiede un ultimo abbraccio: “Abbracciami ancora una volta, anche in quest’aria che è sporca, io guardo dalla mia stanza e l’orizzonte sei tu… Provaci ancora una volta anche se a nessuno importa, in quest’acqua ormai così sporca la speranza sei tu…”. Sempre l’amore è alla base della invece poco riuscita Soffio celeste, canzone cantata a due voci da Yuri Cilloni e Chiara Bertoni: esecuzione dimenticabile e testo troppo debole per potersi considerare alla pari di altre canzoni d’amore molto più belle incise nel corso degli anni dai Nomadi (Un po’ di me, Se non ho te, Stella d’oriente tanto per citare le prime che balzano in mente).
Di ben altra pasta è invece Ogni cosa che vivrai, dedicata dal cantante Yuri Cilloni al proprio figlio di 4 anni; posta in apertura dell’album, si tratta di un brano molto enfatico, nel quale si respira tutto l’amore di un padre per il proprio figlio che cresce giorno dopo giorno: “Già mi manca il tuo calore adesso, e mi manca il tuo sapore addosso, ogni cosa che vivrai io ci sarò, il calore che sa dare un figlio, quel sapore che rimane addosso, ogni cosa che vivrai io ci sarò…”. A concludere il trentaseiesimo album in studio dei Nomadi altre due ballate molto belle, entrambe vicine allo stile tipico del gruppo; la prima si intitola Dalla parte del cuore ed è un manifesto d’intenti, una presa di posizione per questi anni complicati, un prontuario di comportamenti e massime in perfetto stile nomade: “Lasceremo una traccia del nostro passaggio, scopriremo che in fondo la meta è nel viaggio, rideremo dei torti che avremo subito perché il mondo siamo noi… Siediti dalla parte del cuore e lascia sbocciare i tuoi sogni dentro di te, siediti dalla parte del cuore, quel raggio di sole risplende dentro di te…”. Sempre di manifesto, ma in questo caso artistico, si può parlare per Voci per cantare, ultima traccia del disco; introdotta da tastiere che richiamano certi brani di Max Gazzé, il testo è una riflessione sul ruolo degli artisti e dei musicisti, tra le categorie più segnate dalle chiusure imposte dalla pandemia, con la speranza che si torni al più presto a fare concerti in ogni luogo: “Nelle strade di paese mille voci per cantare, insieme nelle piazze e potremo anche danzare…”.
Solo esseri umani è l’ennesima buona prova dei Nomadi, un gruppo che ha scritto pagine fondamentali della canzone d’autore italiana e che alla soglia dei 60 anni di vita non deve certo dimostrare niente a nessuno: dieci brani nei quali manca forse il capolavoro per gridare al miracolo – l’ennesimo per Carletti e soci – ma che si mantengono comunque su un ottimo livello di scrittura e interpretazione; dieci brani nei quali la band di Novellara sintetizza ancora una volta il proprio punto di vista sulle cose e sui valori, l’amore e la vita che alimentano la nostra quotidianità, consapevoli dei problemi di tutti i giorni ma convinti che la speranza e la voglia di reagire non debbano e non possano mai venir meno!
Matteo Manente