LECCO – Allora, l’inquadratura – figlia di un flashback a ritroso nel tempo – si stringe sempre di più sull’immagine di un bambino di circa dieci anni, intento ad ascoltare una vecchia musicassetta – sicuramente dei suoi genitori – da cui escono note e parole non propriamente indirizzate ai bambini della sua età: potrebbe essere il periodo a cavallo tra il 1996 e il 1997 e la cassetta in questione contiene due dischi di un tal Francesco Guccini, un cantante allora conosciuto soltanto per aver scritto alcune delle canzoni che cantano i Nomadi, altro gruppo a cui il ragazzino sta già prestando attenzione da qualche anno. La cassetta incriminata contiene su un lato l’album Radici e sull’altro Album concerto, suonato e cantato da Guccini proprio coi Nomadi. Inutile dire che la folgorazione parte proprio dal live del 1979, con le voci di Augusto e Francesco che si intersecano alla perfezione, creando un sound e un’atmosfera per lui impareggiabili. Da quegli ascolti effettuati a ripetizione alla ricezione dei brani più recenti il passo è brevissimo e la passione per Guccini ormai è scoppiata: Lettera e Cirano, ascoltate nell’allora nuovo disco di Francesco, colpiscono dritto al cuore e lasciano il segno, tanto che due anni dopo (sempre al punto di partenza, citando l’autore!) il ragazzo riceve in dono uno dei suoi primi cd, ovvero il doppio Guccini Live Collection. Inizierà così un lungo e piacevolissimo viaggio alla scoperta degli album e delle canzoni di Guccini, un interesse e una passione approfonditi nel tempo e consolidatisi sempre di più col passare degli anni, sfociati nella partecipazione ad alcuni concerti del Maestrone e all’incontro con lo stesso cantautore in diverse occasioni.
Ecco, tutto questo cappello introduttivo dovrebbe bastare per spiegare e giustificare l’affetto che quel ragazzino di dieci anni – oggi per forza di cose un po’ cresciuto – nutre da sempre nei confronti di Francesco Guccini. Un’ammirazione e una riconoscenza che non si possono spiegare a parole, ma che sono ben rappresentati nel monumentale cofanetto da ben dieci dischi uscito a fine novembre e intitolato Se io avessi previsto tutto questo. Gli amici, la strada, le canzoni.
Il nuovo (e definitivo?) progetto discografico, curatissimo anche nella veste grafica, è arricchito da un bel libretto iniziale in cui Guccini descrive di suo pugno ogni brano presente nell’opera. I primi cinque dischi contengono in ordine sparso il meglio della produzione in studio del cantautore di Pàvana, a cui si aggiungono un inedito – Allora il mondo finirà, brano del 1967 registrato ma non incluso nel primo LP Folk Beat N.1 – e una versione alternativa dell’immortale Eskimo.
Altri quattro dischi rappresentano invece uno spaccato degli spettacoli dal vivo tenuti dal Maestrone tra il 1974 e il 2010: anche qui, in apertura del bellissimo live acustico, è presente l’inedito L’osteria dei Poeti, brano scritto da Guccini a inizio anni ’70 per riconquistare una ragazza di cui era innamorato. Nelle numerose registrazioni dal vivo rimaste in archivio per decenni e mai pubblicate prima – eccellenti le tracce relative al concerto di Vienna del 1992 – spiccano alcuni brani forse meno conosciuti nel canzoniere gucciniano, ma sempre ricchi di fascino: come non commuoversi con la versione acustica di Amerigo o nel riascoltare con arrangiamenti inediti gemme come Canzone delle situazioni differenti, Scirocco, Samantha, Piccola storia ignobile, Per fare un uomo, Per quando è tardi, Inutile, Canzone della bambina portoghese o L’antisociale? Impossibile, almeno per chi con le canzoni di Guccini c’è letteralmente cresciuto.
Il decimo disco raccoglie infine parecchie rarità e collaborazioni registrate negli anni da Guccini con altri artisti del panorama italiano: a partire da episodi legati allo storico Club Tenco – da lì provengono la versione tutta gucciniana di Luci a San Siro, Gli amici in duetto con Vecchioni e Lontano lontano – si passa alla versione di Auschwitz realizzata nel 2005 con i Modena City Ramblers, fino ad arrivare alle partecipazioni degli anni più recenti – epica la versione de La fira ed San Lazer in coppia con Mingardi – e a un paio di brani strumentali – Nenè e Tema di Ju – composti da Guccini nel 1977 per la colonna sonora del film Nenè di Salvatore Samperi e mai ristampati su cd dalla EMI.
Insomma, Se io avessi previsto tutto questo non è soltanto un gran bel cofanetto di musica: è prima di tutto un atto d’amore nei confronti della musica e della poetica di Francesco Guccini, un tributo a un uomo che come ha ricordato lui stesso in sede di presentazione e col sarcasmo che lo contraddistingue, è «nato nella prima metà del secolo scorso» ma è «ancora vivo, a meno di non essermi sbagliato». Se io avessi previsto tutto questo è in definitiva il meritato e dovuto omaggio a un cantautore che con le sue canzoni ha narrato, descritto, emozionato e cresciuto più di una generazione di ammiratori: in questi dieci dischi (sul mercato esiste anche una versione ridotta da quattro cd, limitata nell’offerta oltre che nel costo!) c’è tutto quello che va saputo e conosciuto di Guccini, una monumentale opera omnia arricchita da performance live e rarità che faranno la fortuna dei gucciniani più affezionati.
La sensazione che rimane al termine dell’ascolto è la stessa che proverebbe ancora quel ragazzino che a dieci anni si imbatteva nei primi ascolti guccininani e che oggi, molto umilmente, si ritrova a scrivere queste righe: se avesse previsto davvero tutto questo, anche lui, come Guccini, avrebbe sicuramente fatto lo stesso… avrebbe senza dubbio ascoltato tutte quelle canzoni «fatte di fumo, che vestono la stoffa delle illusioni» e che, a discapito delle profezie cantate in Eskimo, non sono state «le ultime oramai».
Matteo Manente