A Carlo Ozzella, cantautore milanese con già due dischi e numerosissimi concerti alle spalle, non mancano di certo le idee né la voglia di mettersi sempre in gioco: se il primo album (Il lato sbagliato della strada, 2013) era un omaggio più o meno dichiarato a Springsteen e il secondo (Storie della fine di un’estate, 2016) un viaggio dalle tinte più solari tra le pieghe del folk-rock d’autore, il terzo e nuovissimo lavoro, Demoni, è l’ennesimo cambio di rotta e prospettive: disco breve, compatto e uniforme per liriche e sound complessivo, ma incendiario al punto giusto, un disco smaccatamente rock che tuttavia riesce a parlare d’amore e più in generale di tutti quei demoni, legami, vincoli e situazioni che senza dubbio da una parte ci fanno tribolare ma che, allo stesso tempo, dall’altra ci tengono vivi e ci fanno compagnia.
Demoni però non è soltanto una raccolta di canzoni d’amore: è piuttosto un album che con il piglio più sfrontato e irruento del rock n’ roll affronta storie quotidiane nelle quali ciascuno, in un modo o nell’altro, può identificarsi; dieci storie legate da un unico filo rosso che le accomuna – ovvero l’amore, la passione e tutte quelle tentazioni che sanno travolgere e trasformare ogni nostra abitudine – raccontate a tempo di rock, con le chitarre elettriche protagoniste indiscusse e i testi mai banali, diretti e tagliati su misura. Lasciati da parte sax, pianoforte e fisarmoniche che avevano caratterizzato il sound dei lavori precedenti, Demoni si presenta in una veste musicale più ruvida, con liriche cesellate e curate in ogni minimo dettaglio per essere più aderenti alle musiche e soprattutto più funzionali al racconto complessivo: dieci canzoni che sono insieme pugni in faccia, carezze e schiaffi all’anima, brani che esprimono tutto il tormento per amori finiti o semplicemente mancanze fisiche di persone a cui si è voluto bene (Belle Aurore), rimorsi e rimpianti per quel che sarebbe potuto essere (Tutta la notte, Non è mai finita), ripensamenti e ricordi di ciò che è stato e non è più (Pagine, Gabbie), voglia di riscatto e rinascita (L’ultima corsa, Demoni), ma anche un briciolo di speranza verso nuove avventure in cui credere ancora nonostante i demoni interiori ed esteriori coi quali dobbiamo convivere e fare i conti giornalmente (Non sarai sola mai, Troppo tardi ormai, Com’è giusto che sia).
Demoni parte subito forte, con il singolo Belle aurore a segnare il passo e definire fin da subito le atmosfere del disco; un brano squisitamente rock che racconta quanto la mancanza fisica di una persona possa far male e continuare a bruciare, nonostante sia una questione prettamente legata all’attrazione fisica e non a quel che può esserci stato in precedenza: “Vorrei poterti dire quanto mancano / tra le lenzuola i corpi che si cercano / l’alba del giorno dopo… / Chi ti guarderà con gli occhi miei mentre cammini scalza lungo il filo dei miei sogni? / Qui dove i ricordi annegano sul fondo di un bicchiere / belle aurore saprò aspettare…”. Si prosegue a ritmi serrati con Non sarai sola mai, brano che parla di promesse fatte e voglia di continuare a star bene insieme a una persona speciale, nonostante un distacco che evidentemente è avvenuto e che si vorrebbe colmare: “Quando il pensiero di avermi vicino / sarà più forte di ogni peso sul cuore / e un brivido attraverserà il tuo corpo prima di dormire… / Guardami e poi dimmi che tornerai / quando avrai visto il vuoto che resta e quanto dura la notte / non esiste una promessa, vedrai / che non sarà sincera e tu / con me non sarai sola mai…”. Con l’ottima Tutta la notte si torna ad atmosfere più leggere, con un andamento quasi swingato e un bel riff di chitarra a sostenere un testo che riflette sugli ultimi istanti di un amore finito, con tutti i pensieri che come spesso accade tornano alla mente: “Adesso chissà dove sei e cosa penserai di me / magari in un giorno qualunque ti chiamerò per dirti che… / Ti avrei baciato ancora tutta la notte / invece di partire verso un’altra città / sarei rimasto accanto a te nel tuo letto / le tue mani addosso, questa è la verità… / ti avrei cantato le canzoni che ho scritto / vino sulle labbra e un altro disco che va…”.
I successivi due brani sono tra i migliori episodi dell’intero nuovo lavoro di Ozzella: Troppo tardi ormai è un invito al viaggio, con il classico ideale romantico di fuga a due nella notte per lasciarsi alle spalle problemi e delusioni; i protagonisti non si chiamano Mary o Wendy, ma siamo comunque da quelle parti lì: “La via d’uscita esiste, basta saper cercare / là fuori c’è una notte che non può più aspettare… / Ora dobbiamo andare, abbandonarci al sogno / senza pensare troppo al giorno del ritorno / fidati senza paura, lo sai bene che / non potrei mai fare questo viaggio senza te… / Il tempo corre in fretta, è una macchina infernale / la vita brucia dentro, ma da un po’ non fa più male / fuggiremo insieme senza fermarci mai / non torneremo indietro perché sarà troppo tardi ormai…”. Gabbie pulsa ancora a tutto rock e allude a quei demoni esteriori che limitano le nostre scelte quotidiane, facendoci sentire come bloccati in gabbie da cui è pur sempre possibile liberarsi: “Sogni infranti all’orizzonte, ma non serve arrendersi / dove c’era un fuoco resta una scintilla che fatica a spegnersi / ciò che conta è quasi niente, è la vita a sceglierti / puoi frenare il passo e guadagnare tempo / ma non puoi nasconderti… / Lo spazio che hai davanti è l’inizio di un racconto, se vuoi…”. Pagine è una ballata più acustica con chitarre slide e pianoforte in evidenza, in cui complici le luci del tramonto è più facile farsi cullare dal peso e dalla malinconia dei ricordi legati a una persona che continua a mancare: “E non passa un giorno in cui non cerchi sotto il sole / l’occasione per parlarti, anche solo due parole / resto sveglio ad aspettarti ancora tra le pagine che tengo accanto al letto prima di dormire…”. Non è mai finita è un altro bellissimo pezzo, più morbido negli arrangiamenti ma molto efficace nel testo: quando un sentimento è stato vissuto tanto intensamente, non esiste lontananza, finzione o autoconvincimento che possa togliere dalla testa quel “pensiero che non se ne va”, ovvero la convinzione che per tutto il bello che si è condiviso assieme non possa mai essere finita del tutto: “So davvero chi sei e che hai paura del vuoto anche tu / non vuoi lasciare la riva, non vuoi che un’onda ti trascini più giù / ma non puoi fingere ancora se la mia bocca ti sfiora / e siamo soli io e te, non si dimentica… / Venderei l’anima o quel che ne resta / se non l’avessi già fatto con te / per dare un senso e trovare risposta / a questa voglia di averti con me / quando ho cantato guardando i tuoi occhi / di una sconfitta e del male che fa / forse era chiaro, era tutto già scritto / ma c’è un pensiero che non se ne va / non è mai finita…”. Torna il rock più graffiante con le chitarre a gonfie vele in L’ultima corsa, canzone che in qualche modo parla di riscatto e voglia di rivincita per un uomo che si trova di fronte a un bivio importante della sua vita, tra scelte da fare, paure e altri demoni che fanno capolino nella sua testa: “Non puoi capire chi sei fino a quando non resti da solo / a guardare riflessa negli occhi l’ombra del tuo stesso male / non puoi dividere mai ogni scelta dal proprio dolore / quando chiamano l’ultima corsa resti o scegli di partire? / Non puoi capire chi sei se non senti le gambe tremare / alla fine del giorno più nero si trova la strada per ricominciare / non puoi capire cos’hai se non provi tormento e paura / ogni viaggio che cerca la luce inizia da una notte scura…”. La title-track Demoni riassume un po’ tutti i temi del disco, portando l’attenzione su quei tormenti interiori ed esteriori che a fatica cerchiamo di sconfiggere giorno dopo giorno: “Dopotutto siamo bravi a farci male / quando tutto crolla intorno siamo soli… / E intanto disperatamente cerco un freno a questa rabbia / e penso che non è il mio posto, che mi sento come in gabbia / questa vita è troppo grande, a volte è meglio una canzone / non ho tempo di spiegarti, di sapere chi ha ragione… / Non è questa la salvezza che cercavo, stare a pezzi per sentirmi vivo / ma non ho mai smesso di rompere le mie catene dai miei demoni guardiani…”. Chiude il disco Com’è giusto che sia, ottima ballata acustica che lascia aperto uno spiraglio di luce e di speranza, che canta della forza e della possibilità di ripartire magari insieme alle persone di cui ci fidiamo, lasciandoci alle spalle demoni e tormenti che troppe volte ci condizionano: “E ho voglia di cantare dei tuoi occhi e del tuo odore / di bere un’altra birra, di piangere e di andare / dove non c’è rumore e non c’è tempo di pensare / di sedermi lungo il fiume sulla riva a respirare / ti va di accompagnarmi?”.
Demoni è l’ennesima scommessa vinta da Carlo Ozzella, che dopo due ottimi lavori diversi l’uno dall’altro ha saputo ancora una volta rinnovarsi, lasciare da parte le certezze acquisite, spiazzare i fans della prima ora e mettersi in gioco da capo; complice una curatissima produzione ad opera di Paolo Quaglino (presente anche come chitarrista) e dello stesso Ozzella (voce e chitarra) – unita naturalmente all’eccellente lavoro dei musicisti Federico Paulovich (batteria), Larsen Premoli (organo Hammond e percussioni), Roberto Cito (basso) e Stefano Gilardoni (pianofrote) – il risultato è un disco corposo, diretto, senza fronzoli, da ascoltare e riascoltare ad alto volume, magari guidando nella notte per scoprire con un discreto grado di sorpresa di trovarsi più o meno volontariamente al centro di una di queste canzoni, come protagonisti ignari di un racconto scritto da chi, come Carlo Ozzella, ha saputo interpretare un vissuto che in qualche misura ha toccato da vicino molti di noi.
Matteo Manente