Il suo ultimo lavoro discografico, intitolato Matrimoni e funerali, è uscito a inizio marzo 2015; a distanza di quasi un anno dalla pubblicazione, il tour di Cisco in supporto all’album non si ferma, anzi prosegue nella sua fase indoor. Dopo un’estate ricca di concerti in giro per l’Italia, sabato 30 gennaio Cisco è tornato in Brianza per un concerto presso il mitico Bloom di Mezzago (MB). Per l’occasione, Radio Flâneur propone la recensione di Matrimoni e funerali, il quarto disco in studio della carriera solista di Cisco Bellotti, per oltre un decennio voce dei Modena City Ramblers.
LECCO – Matrimoni e Funerali, per stessa ammissione del suo autore, è un concept album sulla vita e sulla morte, dal concepimento fino al trapasso, e in questo senso il ritornello della title-track non potrebbe essere più esplicito: “Nasci, cresci, i primi baci / giurale un amore eterno / riproduci, t’ingrigisci, poi diventi cibo per i vermi…”. Trattandosi di un concept, il nuovo album di Stefano “Cisco” Bellotti va ascoltato senza saltare nessuna traccia per non perdere il filo del racconto; nell’avvicinarvi al quarto episodio in studio della carriera solista dell’ex voce dei Modena City Ramblers, scordatevi dunque di ascoltarlo inserendo la modalità shuffle sul vostro riproduttore musicale. Matrimoni e Funerali dura appena una quarantina di minuti e contiene 11 tracce nuove di zecca, scritte e arrangiate appositamente per ordire la trama di questo nuovo racconto fatto di note e parole. Forse non è il miglior disco realizzato da Cisco – personalmente continuo a considerare il precedente Fuori i secondi su un gradino superiore – ma tant’è: il disco è gradevole, sicuramente onesto, ben scritto e con anche alcune canzoni che spiccano sulle altre (si legga alle voci Come agnelli in mezzo ai lupi, Chiange e fotte, Per te soltanto, Il tuo altare e Cenere alla cenere).
Come detto si inizia dalla nascita di una nuova vita e così ecco Come agnelli in mezzo ai lupi, un quadretto non esattamente idilliaco – nonostante il vagito di un neonato che introduce la canzone – nel quale Cisco sembra quasi metterci in guardia: veniamo al mondo non per nostra scelta e siamo subito scaraventati sulla terra, gettati in pasto a un mondo crudele in cui bisogna faticare per poter navigare e stare a galla: “Siamo agnelli in mezzo ai lupi, scaraventati sulla terra, come agnelli in mezzo ai lupi sacrificati in questa guerra…”. Che questa vita non fosse tutta rose e fiori si era già capito e il titolo della successiva Sangue sudore e merda non fa che confermare le premesse: tuttavia è una canzone che sa di già sentito (e scritto) in oltre vent’anni di carriera, una canzone troppo di maniera per la penna di Cisco, in certi passaggi addirittura retorica e prevedibile, per questo meno incisiva di quello che vorrebbe essere nelle intenzioni iniziali: “Non ho bisogno di politici comici, non ho bisogno di comici politici… non ho bisogno di nuove dottrine, nuovi messia o profeti mediatici… ho imparato quanto è dura la vita, piena di orrori e ingiustizie sociali…”. Benché siano condivisibili le idee di partenza – la critica del sistema politico, sociale e culturale che ci circonda (“Sinistra e destra, cosa faccio: li butto?”) – si poteva osare un po’ di più a livello compositivo. Molto meglio la successiva Chiange e fotte, che mette alla berlina chi ogni giorno, grazie alla propria posizione di potere, gioca coi sentimenti altrui fregandosene delle conseguenze; inutile dire che la classe politica odierna si rispecchia tutta nelle strofe del brano (“Canta il suo mantra il pifferaio magico a un pubblico incantato da un ricatto squallido…”), mentre il ritornello appare come riferimento neanche troppo velato alle lacrime di coccodrillo della Fornero (“Piangi, piangi, piangi che più piangi e meglio fotti l’intero Bel Paese / Piangi, fotti, piangi e del tuo pianto quotidiano c’è chi ne fa le spese…”). Il girarrosto, cantato insieme alle Mondine di Novi, è apparentemente un brano più leggero e scanzonato, nonostante tratti argomenti di stretta attualità come l’immigrazione e la ciclicità della storia umana: “Un giorno siamo quelli disperati che passano l’oceano sui barconi, un giorno siamo noi quelli cattivi che sparano alle barche coi cannoni… Un giorno siamo ricchi e rispettati, con i vestiti lucidi e perfetti, un giorno siamo noi i poveretti che frugano in mezzo ai cassonetti…”. Supermarket è musicalmente il brano più lontano per stile musicale dagli standard abituali di Cisco e infatti si avvale di un altro ospite d’eccezione, Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori. Costruita su una base rock, la canzone muove una forte critica contro il consumismo sfrenato – e spesso senza senso – tipico della nostra società: “Prendi un kilo di moralità, mescolato alla falsità… Compro per vivere, vivo per comprare… Poi la sera guarda la tv per specchiarti nella tua tribù… Omologati, sentirsi coccolati, rassicurati da questo supermercato…”. Con Marasma si torna ad atmosfere più familiari, grazie alla tromba dell’ottimo Simone Copellini e alle chitarre di Andrea Faccioli che dettano il ritmo per un brano che racconta in modo spigliato la grande confusione che regna sovrana in tutto il mondo: “Mamma dove stiamo andando? Ci stiamo imbarbarendo in questo gran marasma / Oh mamma, cosa sta accadendo? Tutto sta impazzendo in questo gran marasma…”.
Matrimoni e funerali, nonostante sia la canzone che dà il titolo all’intero disco e che ne riassume i contenuti fondanti, risulta costruita su ritmi balcanici alla Goran Bregovic già usati svariate volte (impossibile non pensare alla famosa citazione di Elio e al suo Complesso del Primo Maggio!). Sicuramente ha un ottimo riscontro nei concerti dal vivo, ma su disco – dove è cantata in duetto con Angela Baraldi –non rende come dovrebbe. Di tutt’altro impatto è Per te soltanto, basata su atmosfere più acustiche e folk: pensata come una canzone d’amore, si è poi evoluta fino a diventare una simpatica parodia della creazione del mondo, fatta in fin dei conti soltanto per amore di una donna: “Fece la Terra larga e piatta, la mise al centro dell’Universo / ma gli fecero notare che tutto ciò era sbagliato / A quel punto fece il mondo, lo rifece tutto tondo / pose il Sole lassù in alto e lo accese per te soltanto… Fece la luna intorno al cielo, mise i pianeti come d’incanto / con le stelle e tutto il resto e le accese, lo fece per te soltanto…”. Non sarà un capolavoro, ma risulta tra le più fresche e solari del lotto. La stanchezza del vivere che a volte ci prende nonostante le mille avventure passate è alla base di Piedi stanchi: nel brano, dall’incedere lento e affaticato, emerge tutta la disillusione e la difficoltà ad andare avanti, di fronte alle continue fatiche del quotidiano e alle promesse di speranza spesso tradite: “Ho camminato ininterrottamente… ho attraversato kilometri di terra ed ogni passo è stampato nei miei ricordi… ho bisogno di un porto stasera per i miei piedi stanchi… troppa la polvere rimasta in mezzo ai denti / ho il cuore pesante a forza di trascinare questo fardello di troppi tradimenti…”.
Se le speranze di una vita si trasformano spesso in illusioni viene naturale domandarsi a cosa credere, a chi rivolgere quel briciolo di fiducia necessaria per tirare avanti: ed è esattamente quello che succede con Il tuo altare: passo dopo passo, nel corso della nostra esistenza siamo stati indottrinati a più livelli – religiosi, politici, culturali… – tutti omologati in modo da non avere più un pensiero personale; di fronte a tutto questo e all’assenza sempre più evidente di valori e punti di riferimento, sorge spontaneo chiedersi a chi credere, a quale “altare” (nel senso più laico del termine) fare riferimento: “Dimmi qual è il tuo altare, dimmi dov’è il tuo altare / dimmi in che cosa credi, dimmi in che cosa speri / in che cosa ti rifugi, su che cosa vai a pregare / da che cosa ti distingui o con chi ti riconosci / forse nel tuo partito, forse nella tua squadra… credi solo alla famiglia o ti attacchi alla bottiglia? / Credi ancora nella gente, forse non credi più a niente?”. Molto bello il ritornello, un po’ meno la contaminazione hip-hop targata Er Piotta (ma, come sempre, son gusti): “Ti hanno indottrinato, ti hanno impacchettato, ti hanno ammaestrato / ti hanno concepito, ti hanno ben cresciuto, ti hanno programmato / Ti hanno insegnato a non pensare, non devi disturbare, non credere di avere un pensiero originale…”. “Vita alla vita, polvere alla polvere… si nasce, si cresce, si vive, poi si muore per rivivere, per ricominciare…”: il senso di Cenere alla cenere, brano conclusivo dell’album, è racchiuso tutto in questi versi e non poteva che far riferimento alla morte, che arriverà indistintamente per tutti. La canzone è impreziosita dalle chitarre di Massimo Zamboni (ex CCCP e CSI, e non solo) ed effettivamente il brano strizza più di un occhio al sound inconfondibile dei CSI… di fronte alla signora con la falce e il mantello nessuno avrà scampo, nemmeno Madre Teresa di Calcutta e altri personaggi famosi citati nelle strofe.
Matrimoni e Funerali è un disco senza dubbio unitario, che affronta in maniera più cupa che luminosa il vasto tema della vita e della morte e che porta Cisco – da sempre tra le voci più belle della musica italiana – a sperimentare suoni solo parzialmente diversi dal solito, più balcanici che folk: un disco che, parafrasando un vecchio successo dei Modena City Ramblers, racconta la Vida, la Muerte e tutto quel che ci sta in mezzo.
Matteo Manente