C’è sicuramente più amore che furto nel nuovo disco di Francesco De Gregori, un album in cui il cantautore romano omaggia quello che da sempre ha considerato come il proprio maestro, ovvero quel Bob Dylan per il quale da decenni vanta un’ammirazione sincera già testata in moltissimi arrangiamenti live dei suoi pezzi – basti pensare alla recente rivisitazione di Buonanotte fiorellino in salsa Rainy Day Women #12&35. Per chi come De Gregori si nutre da sempre della musica di Dylan, questo disco non è altro che la chiusura di un cerchio iniziato tanti anni fa, che qui trova il proprio approdo naturale e più alto: per dirla ancora una volta con le parole del menestrello di Duluth, alla fine anche De Gregori ha riportato tutto a casa.
Amore e Furto – titolo a sua volta preso in prestito dall’album Love and Theft del 2001 – raccoglie undici brani del Bob Dylan meno conosciuto, tradotti e reinterpretati dalla penna e dalla voce di De Gregori; un disco in partenza ad alto potenziale rischioso, perché andare a toccare pezzi originali di qualcun altro – specie se questo qualcun altro è proprio Bob Dylan! – è un’operazione difficilissima, ardita e quasi sempre soggetta alle critiche più spietate. Eppure – e qui sta la grandezza di De Gregori – l’amore cui si faceva riferimento all’inizio – unito a una precisione quasi maniacale e rispettosa dei significati originali in fase di traduzione, oltre che a un’oculata selezione dei brani – ha permesso al cantautore romano di salvarsi alla grande, di non sfigurare e, anzi, di far saltare il banco a suo favore. Al Principe va senz’altro riconosciuto il merito di aver pescato a piene mani nei meandri più nascosti dell’immensa produzione dylaniana – nel disco infatti non c’è traccia di Blowin’ in the wind, Like a rolling stone, Mr. Tambourine man o The times they’re a changin’, tanto per intenderci – recuperando al contrario gemme musicali e antichi splendori spesso trascurati o comunque non sempre tenuti in grande considerazione dall’ascoltatore medio.
Frutto di quest’opera certosina, Amore e furto è un disco che suona degregoriano al 100%, nonostante contenga soltanto canzoni di Bob Dylan; allo stesso tempo, naturalmente, suona anche dylaniano al 100% e qui sta l’altra grande magia dell’album: non riuscire mai a capire fino in fondo quanto De Gregori faccia Dylan e quanto i brani di Dylan si prestino a essere intesi come canzoni di De Gregori.
Esempio di questo contorto gioco di parole è, tra gli altri, Un angioletto come te – originariamente conosciuta come Sweetheart like you – singolo di lancio di tutto il progetto: arrangiamento, traduzione e voce viaggiano all’unisono, regalando un brano che, se non fosse stato scritto nel 1983 da Dylan, si potrebbe attribuire senza troppi problemi al De Gregori più maturo, quello per intenderci degli anni Duemila: “ruba una mela e finirai in galera, ruba un palazzo e ti faranno re” canta il Principe, giocando a imitare lo zio Bob e allo stesso tempo interpretando se stesso. Ma tutto il disco vive di questa complicità implicita, raggiungendo picchi altissimi in Non è buio ancora (Not dark yet), Mondo politico (Political world), Servire qualcuno (Gotta serve somebody), Una serie di sogni (Series of dream) e Dignità (Dignity). Più deboli e meno riuscite appaiono invece Tweedle Dum & Tweedle Dee (Tweedle Dee & Tweedle Dum) – un esercizio stilistico un po’ fine a se stesso – e, per forza di cose, Acido seminterrato (Subterranean homesick blues): come si può pensare di rendere in italiano un pezzo che già nel 1965 rappresentava il primo esperimento antesignano di rap? Mission impossibile, anche per uno come De Gregori, la cui versione tutto sommato sta comunque in piedi facendo una figura più che dignitosa.
Tutt’altro discorso per Via della povertà (Desolation Row): in questo caso il paragone dietro l’angolo era duplice, perché oltre al confronto con l’originale di Dylan c’era anche quello con la versione a firma di De Gregori e De André, incisa da Faber nel suo LP Canzoni del 1974. De Gregori stravolge l’arrangiamento, togliendo la chitarra acustica originale e spingendo sulle elettriche, guadagnando in freschezza e potenza complessiva. Recuperate da esperimenti già provati anni fa sono invece Come il giorno (I shall be released) – già inserita nella raccolta Mix del 2003 – e Non dirle che non è così (If you see her say hello), gemma proveniente da Blood on the tracks che il Principe aveva già cantato nel doppio live La valigia dell’attore del 1997, qui riproposta in una nuova incisione.
Insomma, per la prima volta in oltre quarant’anni di carriera musicale Francesco De Gregori esce allo scoperto dichiarando apertamente tutto il suo amore per Bob Dylan e lo fa nel migliore dei modi, divertendosi e divertendo gli ascoltatori, rispolverando suoni contemporanei e traduzioni filologiche per un disco che chiamare di cover sarebbe davvero riduttivo: si tratta piuttosto di un omaggio – l’amore di cui si accennava in partenza – un atto di riconoscenza sentito, dove l’unico furto è, al massimo, quello di non averci pensato e provato prima.
Matteo Manente