L’effetto notte è una tecnica cinematografica utilizzata per simulare un’ambientazione notturna anche in un contesto di riprese effettuate alla luce del sole; rimanendo nel solco della metafora, anche l’Effetto notte cantato da Carlo Ozzella nel suo nuovo album di inediti è un viaggio cinematografico a suon di rock fra i chiaroscuri della vita, una lunga cavalcata con le chitarre elettriche tirate a lucido per indagare a fondo fra le gioie, le paure, le passioni, i dolori e tanti altri sentimenti della nostra esistenza, fra situazioni personali o di coppia non sempre nitide o lineari: storie d’amore dissolte, legami nuovi all’orizzonte, porte chiuse sul cuore e pugni in faccia che fanno male, ma pure la necessità di trovare il proprio posto nel mondo e la forza resiliente di un sole che dopo la pioggia o già durante il diluvio trova spazio per splendere e spingere le nostre vite verso nuove possibilità, che esaltano il cuore e lo fanno nuovamente battere al ritmo di un sano pezzo rock and roll!
Tutto questo è Effetto notte, il nuovo disco del cantautore milanese Carlo Ozzella, che prosegue il discorso già avviato sei anni fa con Demoni innalzandolo a un livello superiore, sia per quanto riguarda la scrittura dei testi, sia per quanto concerne gli arrangiamenti musicali, ancora una volta affidati alla sapiente guida del chitarrista Paolo Quaglino e del produttore Gianluca Morelli. Il risultato sono dieci canzoni rock come non capita di sentire molto spesso in Italia, assuefatti come siamo da musica di plastica preconfezionata e zero stimoli ad alzare gli amplificatori per ascoltare uno strumento suonato per davvero: a partire dai due singoli apripista La pioggia col sole e Incenso, il nuovo disco di Ozzella è – musicalmente parlando – una vera e propria botta in faccia, un wall of sound costruito su chitarre elettriche come ormai se ne sentono poche anche nei dischi di ben più blasonati rocker nostrani.
Abbandonato il classico stilema springsteeniano degli esordi (Il lato sbagliato della strada, 2013), saggiato il mondo del folk-rock d’autore (Storie della fine di un’estate, 2016) e approdato infine a un più moderno rock d’impatto (Demoni, 2017), oltre a un paio di EP in bilico fra chiave elettrica (Fogli sparsi, 2019) e intimismo acustico (Aspettando qualcosa, 2021), nel ben più recente Effetto notte emergono nuove influenze musicali figlie degli ascolti ripetuti durante le registrazioni, che spaziano dagli U2 di Bad ai Negrita di Sale e Radio Zombie, passando soprattutto per il punk-rock dei Gaslight Anthem guidati da quel Brian Fallon che da anni è un vero e proprio faro nell’orizzonte musicale di Carlo Ozzella. Il risultato di queste mescolanze musicali sono dieci canzoni tirate, energiche, utili e necessarie, mai di troppo né fuori posto; in un’alternanza ben calibrata fra l’adrenalina dei brani più d’impatto e quelli dai ritmi più lenti e riflessivi, sono dieci canzoni che trasudano rock e poesia e che accanto all’ottimo vestito musicale propongono testi sempre validi, scritti bene, pensati e sentiti fino in fondo dall’autore.
La potenza di fuoco di Effetto notte è aperta dall’arrembante Whiteout, metafora della confusione dei tempi in cui viviamo e fotografia lucida a suon di immagini cinematografiche della difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo: “Non sei mai al centro dell’immagine, perso ormai nel witheout, dimentichi chi sei…”. Si prosegue a suon di rock con La pioggia col sole, prima anticipazione dell’album già presente in forma acustica nell’EP Aspettando qualcosa; un incitamento a vivere fino in fondo la propria vita e i relativi sentimenti così da non aver rimpianti o rimorsi e, soprattutto, a non accontentarsi dei ricordi: “Ma se possiamo vivere una vita soltanto cosa stiamo aspettando a fare un passo…”. Il succo del discorso è che sarebbe bellissimo se ci fossi (“Dovresti credere a chi dice di amarti, c’è una luce perfetta che attraversa gli sguardi”), ma nella realtà dei fatti non ci sei (“Ma se davvero tu fossi qui accanto, se tu fossi qui sempre, se non dovessimo accontentarci dei ricordi dispersi tra le ombre…”) e così si crea lo stesso cortocircuito emotivo della pioggia quando scende in contemporanea alla presenza del sole (“Com’è che siamo soli e quasi sembra normale, proprio come l’inganno della pioggia col sole…”). Il trittico iniziale a tutto rock si conclude con Incenso, secondo estratto del disco che – introdotto da un riff di chitarra che ricorda Sale dei Negrita – fotografa la passione e il desiderio che bruciano sotto pelle e che son pronti ad esplodere in qualsiasi momento, come un uragano che arriva e travolge tutto: “Brucia nell’aria come incenso, lo sai che non finirà mai, ogni istante con te riaccende questa attrazione fra noi…”. Il primo stop utile a rallentare la corsa e prendere fiato arriva con Fino a vederti ridere, una rock ballad classica e tra i migliori episodi del disco, aperta da un riuscito intreccio di E-bow e chitarre acustiche che tratteggiano il tentativo di tenere insieme i pezzi di una storia fino al raggiungimento di un ultimo sorriso consolatorio: “Fai finta che per ogni segno che si vede ci sia un dolore che va via, ma fino a che potrò riparerò le crepe senza nasconderti le mie, ai tuoi occhi dieri come ti vedono i miei… E fino a che potrò camminerò al tuo fianco, fino a vederti ridere…”. Si torna a decibel più alti con Buio, un brano squisitamente in stile U2 del periodo Acthung baby, il cui sound energico e il tema del disordine interiore (“Ma da troppo tempo inciampo nel disordine che ho dentro, com’è che qui cercandoti si è spenta ogni luce e adesso è buio…”) fanno da contraltare alla melodia più pacata della successiva Vivere a metà, vero trait d’union con il precedente Demoni; anche nell’intro musicale di questa seconda ballad vengono volutamente citati gli U2 di Bad, mentre il testo affronta gli stati d’animo provati per una storia d’amore che non è andata come si sperava: “Oh, come vorrei che ognuno avesse un altro cielo per rinascere e tornare in volo… oh, cercherei le parole quelle giuste per andarmene senza ferire, ma è come vivere a metà, così…”. Con un pattern di batteria che ricorda da vicino My love will not let you down del Boss, si torna a correre con Da qui a quando è tardi, brano tirato su cui incombe il peso degli errori commessi, unito però a una speranza celata in sottofondo di avere ancora una chance con la persona amata: “Di tutti gli errori che ho fatto con te lasciarti è il più duro da ammettere, abbracciami e lasciami credere che da qui a quando è tardi avrai voglia di me…”. Sullo stesso piano si muove la successiva Quando tu vai via, un rock tutto d’un fiato che fa i conti con le ferite che restano dopo un addio o una separazione; un brano che di fatto è l’altra faccia della medaglia rispetto a Fino a vederti ridere e che contiene alcuni dei versi più belli scritti da Ozzella per questo disco: “Cosa importa ormai se il tempo scorre via, siamo isole quando sale la marea… Ogni cosa ha un suo posto e tu eri bella accanto a me, stretti in un respiro, un equilibrio fragile… quando tu vai via provo una vertigine, guardo nello specchio e non c’è più l’immagine…”. Se è vero che da ogni sconfitta si esce più forti, ecco allora il senso più profondo di Parole per salvarmi; con un andamento hard rock che richiama i Guns n’ Roses di Nightrain, è un brano che grida in faccia al modo la voglia di riscatto e rinascita dopo un periodo di buio: “Ed ho cercato intorno a me parole per salvarmi, le luci accese in fondo ad una galleria, se sono stato via lo sai dov’è che puoi trovarmi, con una storia in tasca e una fotografia…”. A conclusione di questo viaggio fra i chiaroscuri di un Effetto notte a tinte decisamente rock, non poteva mancare una ballata che segnasse i titoli di coda, come nelle migliori pellicole; Non dimenticarti indietro è un brano che trasuda U2 fin dalle prime note di chitarra e che chiude le danze come se fossimo intorno a un falò, almeno in apparenza pacificati rispetto a tutte le tensioni affrontate fino a qui: “Per ritrovarsi serve perdersi, se guardi intorno puoi sorprenderti… hai chiuso a chiave fuori il mondo e vai, ma il cuore bussa, lui non smette mai… ora che hai visto il vuoto, porti il segno di chi sa ciò che hai dentro… e in ogni scelta che farai non dimenticarti indietro mai…”.
Indagatore d’anime a suon di rock e ballate, scandagliatore dei sentimenti umani più profondi e controversi, autore che affronta i suoi (e nostri) demoni combattendoli a colpi di chitarra elettrica, Carlo Ozzella con il suo nuovo Effetto notte – disco che sa di conferma definitiva – si candida a pieno titolo per entrare nella ristretta cerchia di quelli che sanno fare rock italiano in maniera convincente, senza scadere nel patetico o nel banale, prendendo in mano l’eredità dei vari Priviero, Gang e simili per portarla avanti finché sarà possibile, oltre il whiteout di questi tempi sbandati e di ogni inganno della pioggia col sole!
Matteo Manente