RADIO FLÂNEUR – “Diario di vita” di Massimo Priviero.
Nuovo disco fra rock e cantautorato per fotografare una vita in musica

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È possibile racchiudere una vita intera dentro a un disco di canzoni? Forse no, ma se l’artista in questione si chiama Massimo Priviero ed è uno che ha sempre vissuto per come ha cantato e viceversa, facendo sempre coincidere vita e poetica, allora il risultato è più che garantito. Diario di vita, ultima fatica in studio del rocker veneto, è un concentrato del Priviero-pensiero, una summa delle tematiche e delle sonorità già ampiamente sperimentate durante i suoi oltre trent’anni di carriera nel mondo musicale italiano.

Il nuovo album parte dalle radici con la propria terra e dall’idea di quel bambino che crescendo diventa un uomo rinsaldando il legame coi propri antenati (Il mio fiume) e finisce con un’invocazione universale per un mondo finalmente pacificato (Il mio nome è pace), tanto vera quanto necessaria visti i tempi disperati che stiamo attraversando; nel mezzo scorrono altre undici canzoni che parlano spesso in maniera autobiografica di vita, gratitudine e reciproca solidarietà (Cantico, Ritratto), di umana resistenza (Vincere, Fino alla fine, Buongiorno anima), di amori importanti (Il mare) e di attenzione verso le future generazioni (Prossima vita), di amicizie che resistono al passare del tempo (Amico per sempre), ma soprattutto di musica e di sogni rincorsi con tenacia on the road (Il sogno, Il suono), inseguendo sempre a testa bassa quel mito così significante che è la figura del musicista di strada, il menestrello che mette in musica sentimenti ed emozioni per raccontare prima di tutto se stesso e poi il mondo che lo circonda.

Diario di vita è dunque un album grandioso proprio per questo suo essere al tempo stesso un manifesto del pensiero del suo autore, oltre che una sorta di bilancio del percorso fin qui intrapreso; un disco sempre in bilico tra folk e rock, fra ballate acustiche e invettive elettriche, nel quale Priviero dimostra ancora una volta di aver assorbito fino al midollo le lezioni dei grandi maestri d’oltreoceano, da Dylan a Springsteen e tutto quel mondo musicale che da sempre rappresenta il suo riferimento primario. In tal senso, ne sono un esempio lampante gli arrangiamenti e alcuni spunti melodici che emergono in brani come la ballata acustica Il mio fiume o l’utilizzo dell’armonica in Amico per sempre, l’intro di pianoforte che caratterizza fin da subito Il sogno, il finale enfatico de Il mare, le tirate elettriche di Vincere, Buongiorno anima e Il migliore dei mondi possibili, così come lo stupendo solo di sax sul finale de Il suono: i fantasmi di Springsteen e Dylan sono lì a vegliare, come numi tutelari che indicano da sempre e per sempre la rotta da intraprendere per non sbagliare strada.

Eppure, se le coordinate musicali sono note ed evidenti, ciò che differenzia da decenni i lavori di Priviero sono i testi, mai banali né tantomeno lasciati al caso; in questo senso, Diario di vita non fa eccezione: l’arte poetica eccelle in ogni composizione, regalando all’ascoltatore storie personali e veritiere nelle quali specchiarsi e, a volte, riconoscersi o comunque con le quali potersi confrontare. L’aderenza dei versi alla realtà contemporanea italiana e globale (ad esempio in Il mio nome è pace, Il sogno, Fino alla fine), unita a un lirismo sempre ricercato (Cantico, Il mio fiume, Il mare, Amico per sempre) e ad arrangiamenti curati in ogni minimo dettaglio (Il suono, Buongiorno anima, Prossima vita, Ritratto), rendono credibile l’ascolto di tutto il disco, cosa non scontata in un’epoca che purtroppo vive solo di likes, singole hit e altre diavolerie.

Priviero con il suo Diario di vita viaggia invece da un’altra parte, gioca un campionato a sé, dimostrando di essere un artista che andrebbe tutelato da un ipotetico WWF della musica, un campione di musica e parole come ce ne sono pochi oggi in Italia; eppure i suoi dischi non vanno in classifica, le sue canzoni non passano in radio, ma vive e trae ispirazione dell’amore dei fans e degli amici che condividono il suo modo di stare al mondo. Proprio per questo un album come Diario di vita appare fin dal primo ascolto come un lavoro di apertura totale dell’artista nei confronti del proprio pubblico: un disco totalmente a cuore aperto, nel quale Priviero ha riversato tutto quello che è, che è stato e che – fieramente – continua a rivendicare di essere: un cantautore rock che fa un disco quando sente di aver qualcosa di importante da dire, contrario a ogni show business e lontano da ogni qualsivoglia moda accomodante.

In ultima analisi, Diario di vita rappresenta proprio l’urlo disperato ma al tempo stesso fiero e orgoglioso di Priviero contro questa “idiocrazia” – neologismo perfetto coniato da lui stesso nel brano Il sogno – ormai dilagante e apparentemente inarrestabile: un atto di umana resistenza che magari apparirà fuori moda o fuori tempo massimo, ma che regala forza e speranza a chi sa ascoltare quello che raccontano le storie contenute all’interno del disco. Come disse il buon Guccini, a canzoni non si fan rivoluzioni, ma è anche vero che spesso le rivoluzioni e i grandi cambiamenti son passati attraverso le canzoni, magari infilate dentro la chitarra e l’armonica di un menestrello americano che a inizio anni ’60 cercava delle risposte che soffiavano nel vento e che oggi – a distanza di tanti decenni – non sembriamo ancora aver trovato; è anche grazie a dischi come Diario di vita e alla sensibilità di artisti come Massimo Priviero se almeno qualche volta tutte queste risposte ci sembrano un po’ più vicine e a portata di mano, “finché il mio sogno volerà su nel cielo, come campane di libertà…”.

Matteo Manente

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