“Una raccolta di cinque canzoni casalinghe, scritte e registrate in una settimana durante le feste di Natale, con strumentazione scarna e approccio da buona la prima”. Tutto questo, direttamente dalle parole del suo autore, è Cheap! (Cinque Hit Estemporanee Apparentemente Punk), il nuovo mini-album di Brunori Sas, che presentando questo nuovo progetto discografico ha aggiunto che “si tratta essenzialmente di un divertissement, nato dalla voglia di realizzare qualcosa di leggero (visti i tempi gravi). Un cotto e mangiato che affronta tematiche attuali, ma con un approccio che esce dalla dinamica sacrale, lunga e a tratti pallosa che connota la realizzazione dei dischi ufficiali”. Giocando volutamente sull’assonanza con il precedente Cip! e suo ideale seguito, Cheap! è per Dario Brunori “il surrogato, il fratellino storto, quello uscito male”. Secondo il cantautore calabrese, fra le cinque tracce che lo compongono troviamo un “linguaggio terreno, sporcature nei testi e nel suono, il tutto condito da una buona dose di sana cialtroneria: dialetti e finto spagnolo, clavicembali kitsch e chitarre zanzarose, batteria elettronica da liscio e slide hawaiane”.
Che siano preludio a un nuovo disco di inediti o soltanto uno sfogo momentaneo necessario per il loro autore, resta il fatto che queste nuove cinque canzoni confermano la penna di Dario Brunori come una delle più acute, ispirate, profonde e allo stesso tempo leggere del panorama della canzone d’autore italiana. Nelle nuove composizioni traspare ancora una volta il marchio di fabbrica del cantautore calabrese, emblema e portatore sano di un’innata ironia dissacrante, di una capacità di esprimere concetti importanti con una leggerezza che non è mai superficialità, dimostrando di aver assorbito completamente la lezione dei grandi cantautori come Lucio Dalla, Rino Gaetano, De Gregori, ma pure l’ironia spietata di Gaber e un certo ecclettismo tanto caro al più contemporaneo Daniele Silvestri.
Così ecco comparire in serie cinque nuove istantanee, cinque ritratti che parlano di noi e della nostra contemporaneità, pur facendo riferimento a figure, decenni e periodi passati della nostra storia; è il caso di Yoko Ono, che come prima traccia di Cheap! presenta il tema della donna e della demonizzazione di un certo maschilismo imperante prendendo spunto proprio da una personalità femminile famosa come già sperimentato anni fa in Kurt Cobain: “Il destino della donna è il destino della Terra / calpestata da millenni da maschietti sempre in guerra / chiusi in bagno col righello a stimare la lunghezza / di un uccello troppo piccolo per volare sulla loro insicurezza… / Ma pole la donna permettersi di pareggia’ con l’omo? / Chissà come sarebbe il mondo se qualche maschietto scendesse dal trono…”.
Il mini-album di Brunori prosegue con Ode al cantautore, senza dubbio una delle canzoni più riuscite e auto-dissacranti dell’intera discografia di Brunori, che affronta a suo modo pregi e difetti di una categoria e di un mestiere che vorrebbero essere al di sopra delle parti, ma che poi si piegano inevitabilmente a certe dinamiche di mercato: “Suddito del Regno di Milano, mi presento col cappello in mano / mi inchino alla multinazional che mi versa i danari per scrivere e cantare / prono alla promo musicale, mi vesto da giullare e inizia il baraccon…”. Il brano è una sorta di invettiva nella quale si distrugge la vanità e l’ego di certi artisti (“Poi parte la crociata in Feltrinelli, Palermo poi Milano ed i Castelli / fatece largo che passamo noi, che semo li poeti, che semo i nuovi eroi / cantiamo della vita e del lavoro, però poi, sotto sotto, ce piace il disco d’oro…”), prendendosi in giro in prima persona e sfottendo i clichè promozionali e altre usanze del mondo musicale: “Visita alla radio commerciale col fido ufficio stampa da scudiere / in singolar tenzone con lo speaker piacione a disquisir di ‘nduja e peperone…”. Guccini, a differenza dei colleghi “eletta schiera” come De Andrè, De Gregori e Dalla, è l’unico a non venir citato apertamente, ma la sua Avvelenata aleggia in tutta la canzone, insieme a certe sfumature e sonorità tipiche di Daniele Silvestri (Testardo su tutte): “Ode a Francesco De Gregori, a me sempre affiancato da tutti i detrattori / perché l’ho detto, sono un surrogato voluto da un mercato che vive di cliché o di cachet…”.
Il discorso prosegue con Il giallo addosso, altro brano apparentemente leggero ma decisamente figlio dei nostri tempi: siamo tutti un po’ cinesi, anche quando non sappiamo di esserlo (e fa un certo effetto dirlo dopo quanto avvenuto con la pandemia originatasi proprio in Cina): “Accidenti ai cinesi e a tutto il giallo che c’hanno addosso / urla il vecchio incazzato perché in mezzo all’isolato c’è un dragone tutto rosso / Accidenti all’America, alla Francia, alla Germania, alla Russia, all’Ucraina / accidenti a chi pensa a far la guerra e a fare soldi dalla sera alla mattina / Accidenti all’Italia che non crede più ai santi / non crede ai poeti e nemmeno agli eroi, figurati a noi…”. Il succo della canzone è che comunque al di là dei colori e delle latitudini siamo tutti uguali, da Milano a Pechino o Seul: “Sotto casa mia a San Fili i ragazzini si divertono a intonare canti con un cellulare / fabbricato da un’azienda di Pechino o di Seul / da un bambino come loro o poco più…”.
Su più piani va letta invece Italiano-Latino, in primis un canto di protesta seppur all’acqua di rose – anzi “all’acqua de rosas” – contro i tormentoni spagnoleggianti tipici di ogni estate, ma che poi si apre a una critica nemmeno troppo velata al fascismo e alla mitizzazione che ancora se ne fa a distanza d’anni, il tutto condito da un ritornello killer che si pianta in testa al primo ascolto, proprio come uno di quei tormentoni appena criticati: “Italiano-Latino, Latino-Italiano / como el dizionario che non ho voluto mai prendere in mano / Italiano-Latino, soy un vero cabrón / esperando che un giorno lui puessa tornare a parlar dal balcon / con il braccio alzato teso, teso, teso / capoccione pelato, sguardo sbarrato e mento proteso / camicino attillato nero, nero, nero / pettorale de legno ma uccello pequeño como Calimero…”. Un brano apparentemente facile e ironico, ma che come spesso accade con Brunori nasconde frecciatine neanche troppo velate a determinate situazioni e pensieri. A suggello di tutto, un tributo diretto a Rino Gaetano (“Nun te reggaeton, nun te reggaeton”), che senz’altro avrebbe apprezzato questo tipo di ironia sempre in bilico tra il sarcastico e il dissacrante.
A chiudere questo piccolo gioiello che risponde al nome di Cheap!, ci pensa la sensazionale Figli della borghesia, ritratto di una società figlia dell’edonismo degli anni ’80, cresciuta nel benessere ma allo stesso tempo persa nei valori di fondo che quella stessa società ha distrutto: “Noi siamo i figli della borghesia, affezionati alla bigiotteria / siamo i tappeti persiani ficcati sotto ai divani / noi siamo i figli della frenesia, quello che resta di quegli anni Ottanta / la vetrinetta con l’argenteria e una racchetta di Panatta… / E siamo i figli di una balena che ha il cuore piccolo e la bocca grande / che ha un cuore piccolo ed una bocca enorme…”. Sull’aria di una tastiera malinconica, Brunori descrive pregi e difetti di una generazione e di un paese intero, cresciuto nella ricchezza più da ostentare che da vivere per davvero, con Lucio Dalla che dall’alto protegge e approva sotto uno dei suoi tanti cappelli: “Noi siamo i figli della borghesia, la quintessenza dell’ipocrisia / siamo i gemelli sui polsini, siamo l’oliva nel Martini / e siamo figli dell’economia, affezionati alla burocrazia / siamo gli avanzi di un ricordo, siamo il prodotto interno lordo…”. Un capolavoro totale, che suggella alla perfezione un piccolo disco che dimostra pienamente tutta l’urgenza che aveva di uscire senza aspettare troppo tempo.
Cheap! riassume brillantemente in cinque brani le mille sfumature dell’arte di Dario Brunori; cinque fotogrammi della sua arte, della sua sensibilità e della sua particolare visione del mondo, fondamentalmente minimalista ma sempre attenta e capace di tenere un occhio ben aperto sul mondo e sulla società che lo circonda: non dovrebbero essere queste le prerogative di chi scrive canzoni d’autore? Brunori Sas in questo senso è un maestro, nonché uno dei migliori cantautori italiani in circolazione.
Matteo Manente