Uragano Pearl Jam.
Trionfo per la band di Eddie Vedder, in concerto tra Milano e Padova

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MILANO – La miglior rock band in circolazione, punto e basta! Non ci sono U2 o altri top player che, per quanto bravissimi, possano tenere e reggere il confronto con gli show offerti attualmente dai Pearl Jam. Esclusi Bruce Springsteen & The E Street Band, sulla scena rock mondiale solo il gruppo capitanato da Eddie Vedder è in grado di proporre concerti così ricchi di intensità, emozioni ed energia, con scalette sempre variabili e diverse da una sera all’altra. I Pearl Jam incarnano insieme la forza e la gioia nel suonare tipica della E Street Band con la foga e l’imprevedibilità delle cavalcate elettriche dei Crazy Horse, l’urgenza e la sfrontatezza degli Who con l’abilità e la precisione tecnica degli Heartbreakers: insomma, una rock band come non se ne vedono spesso in giro, il tutto al netto dei problemi di voce di Vedder che hanno condizionato in parte la performance di Milano. Tuttavia, o forse proprio per queste difficoltà legate al momentaneo ko vocale del frontman che li ha costretti ad annullare una data a Londra, soprattutto a Milano è emersa forte come non mai la coesione di un gruppo che non è semplicemente la somma di ottimi musicisti a servizio di un grandissimo cantante, ma un collettivo solido, unito e granitico; ben consci dei problemi vocali che hanno interessato Vedder negli ultimi giorni, Mike McCready, Stone Gossard, Jeff Ament, Matt Cameron e Boom Gaspar hanno fatto quadrato intorno al loro leader, quasi a proteggerlo; ciò che ne è uscito è stata una fantastica dimostrazione di unità e forza di volontà che gli oltre 60.000 fans accorsi all’Area Expo di Rho per la seconda giornata dell’I-Days Festival hanno colto fin dalle prime battute dello show.

“WELL, FUCKERS, HE STILL STANDS…” – MILANO, 22 GIUGNO 2018

Energia e cuore, quelli messi in mostra venerdì 22 giugno sul palco di Milano dalla band americana, con Vedder che dopo lo spavento per la voce persa e l’annullamento della seconda data londinese ha dato tutto quel che aveva in corpo finché ha potuto: show sensibilmente più corto rispetto agli standard dei Pearl Jam, ma ugualmente intenso ed emozionante, fin dall’opening affidata alla storica Release modificata da Eddie per l’occasione nei primi versi: “Oh dear Milano, mi sentite ora? Ho bisogno del vostro aiuto, ho bisogno della vostra voce…”. Boato del pubblico che accoglie in pieno la richiesta del cantante e che da lì in avanti lo sosterrà con voce e cori durante ogni singolo brano proposto; un’immedesimazione totale fra band e pubblico, un’empatia quasi commovente che si ripete anche al termine della bellissima Wishlist, con Eddie che rilancia: “Stasera canteremo insieme, stasera siete nella band”. Il carisma da navigato uomo di palco non manca di certo a uno come Vedder, che pure con la voce non ancora al top è comunque di molto superiore a tanti altri colleghi in piena forma: si sforza laddove i brani si fanno più tirati (Do the evolution, Even flow, Porch e una stratosferica Corduroy), recupera con le ballate e i brani più tranquilli (Small town, Daughter, Given to fly o una fantastica Immortality), lasciando consapevolmente un sacco di spazio ai colleghi della band: tanti gli assoli incendiari di McCready (che si lancia pure nella cover di Eruption dei Van Halen), Gossard ripesca e canta la “sua” Mankind, mentre Cameron e Ament come sempre sono dei rulli compressori nella sezione ritmica.

Tutto questo non sfugge al pubblico che assiste e partecipa al concerto sostenendo e spingendo tutto il gruppo, che ricambia tanto affetto con alcune chicche e rarità che onestamente non mi aspettavo in una scaletta di un festival: You are riemerge in tutta la sua carica dalle ceneri di Riot act, I got ID ricorda un’antica collaborazione con Neil Young, ma il vero colpaccio della serata è all’inizio dei bis con la splendida Footsteps, un brano fondamentale nella storia e nell’evoluzione stessa dei Pearl Jam. Il gran finale – dopo aver ricordato il diciottesimo anniversario tra Vedder e la moglie Jill, incontrata proprio a Milano dopo il concerto al Forum nel 2000 e fatta salire per l’occasione sul palco – è consegnato alle note immortali e sempre struggenti di Black, alla carica vitale di Alive e alle conclusive Rockin’ in the free world e Yellow ledbetter.

No, per esser stato fino all’ultimo un concerto a rischio cancellazione è andata oltre ogni più rosea aspettativa; due ore di coinvolgimento puro e totale, grazie alla forza di un gruppo che ancora una volta ha dimostrato di non esser sopravvissuto per caso all’epoca del grunge e a un cantante, Vedder, che dandosi senza timori per quanto ha potuto, ha alzato ulteriormente l’asticella dell’empatia con il suo pubblico, che ha capito e ricambiato quello sforzo immane: “well, fuckers, he still stands”, canta Eddie in Given to fly… e questa è la vera differenza tra un bel concerto rock e una performance dei Pearl Jam!

“CAN’T FIND A BETTER MAN…” – PADOVA, 24 GIUGNO 2018

Tutt’altra atmosfera si è respirata allo stadio Euganeo di Padova domenica 24 giugno: la voce di Vedder è tornata più potente e tonante che mai, con una band in stato di grazia e una fucilata di concerto, completamente diverso per intensità, ritmo, carica e scaletta da quello proposto a Milano soltanto due giorni prima: se non fossero i Pearl Jam ci sarebbe da gridare al miracolo, ma la band di Seattle è abituata a questo genere di cose… e i 45.000 che hanno gremito lo Stadio Euganeo di Padova sembra che abbiano apprezzato parecchio la performance di Vedder e compagni.

Inizio tranquillo sulle note eteree di Pendulum, poi l’acustica Low light comincia a scaldare gli animi dei presenti, ma è con il trittico devastante di Last exit, Do the evolution e Animal che i Pearl Jam scoprono le carte e il concerto prende un’altra piega e velocità. Corduroy e Given to fly sono tra i sette-otto pezzi mantenuti in scaletta dalla serata milanese, mentre God’s dice e soprattutto Not for you rendono gli animi sempre più incandescenti. Mike McCready è un diavolo forsennato, salta da tutte le parti e regala assoli come non ci fosse un domani, superandosi ancora una volta sulla storica Even flow; Gossard imbraccia l’acustica e parte Daughter, sulla quale Vedder tira una discreta frecciata a Trump: “Se mi chiamassi Ivanka, dedicherei questa canzone a mio padre, ma gli tirerei anche un calcio nelle palle e gli sputerei in faccia!”. Red mosquito e Mind your manners riportano il contagiri a mille, mentre Down è sempre un piacevolissimo ripescaggio tra le b-sides più belle del gruppo; chiusura del main set con l’incendiaria Spin the black circle (dedicata a Jack White, amante dei vinili) e l’immancabile cavalcata di Porch. Vedder è in gran forma e la band lo segue a ritmi serrati, quindi la scaletta prosegue con i consueti due giri di encores: Small town anticipa quel piccolo gioiello che è Inside job, mentre Once fa saltare veramente tutto il prato e le tribune dell’Euganeo.

Altri brividi e cori in grande stile sull’immortale Better man e la successiva Black, con tutto lo stadio a prolungarne il finale. Altra graditissima sorpresa è Crazy Mary, in cui Boom Gaspar regala sprazzi di grande musica all’organo; chiusura del primo encore affidata a una versione stratosferica di Rearviewmirror, canzone gridata a pieni polmoni da un Vedder che a tratti sembra quasi posseduto! L’armonica di Eddie introduce l’ultimo blocco di canzoni con un’altra piacevolissima sorpresa: Smile è un brano che non si sente tanto spesso, mentre la successiva Alive non può assolutamente mancare e fa cantare tutto il pubblico. Luci accese a giorno per il gran finale, affidato questa volta alla splendida Baba O’Riley degli Who e alla sempre devastante Indifference: grazie a tutti e buonanotte, ma ci vedremo presto, assicura un quasi commosso Vedder salutando lo stadio ormai ai suoi piedi, felice e soddisfatto di aver ritrovato la forma che era mancata in parte a Milano, ma soprattutto sorpreso dal calore con cui il pubblico italiano ha seguito le quasi tre ore di show.

Matteo Manente

 

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