“I re nudi”, tra teatro canzone e storie di amori fugaci.
Racconto di un San Valentino in musica

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LECCO – Dal rivoluzionario non far niente di Paolo Sarti alle storie agrodolci di Diego Esposito, fino ad arrivare alla teatralità e all’ironia di Emilio e gli Ambrogio. Ecco gli ingredienti del settimo atto de I Re Nudi, la rassegna dedicata alla nuova musica d’autore e organizzata dalla Taverna ai Poggi in collaborazione con HDstudio, C’esco e Crams. Un concerto che nella serata di San Valentino ha visto i musicisti ospiti alternarsi al microfono, mescolarsi tra loro, cedere inaspettato spazio a cantanti presenti in sala (il lecchese Pier Frau, chiamato a esibirsi in uno dei suoi nuovi pezzi) e creare una notevole e piacevolissima alchimia con il pubblico. Meno impegnata del solito e questa volta incentrata sull’amore (anche se incazzato), su tematiche più leggere e racconti di vita quotidiana, la serata è stata in grado di sollevare quesiti vasti e universali, confermando le aspettative della vigilia e riservando piacevoli sorprese.

E una sorpresa è stata sicuramente Paolo Sarti, che ai Poggi si è presentato accompagnato dalla tromba e dalla chitarra di un bravo Andrea Baroldi. Il cantante ha stupito soprattutto per i testi delle sue canzoni, che, all’apparenza leggeri, nascondo un messaggio rivoluzionario in tempi di selfie, dirette Facebook, stories, dell’apparire come ragione di vita e del raccontarsi come obbligo morale. Paolo Sarti ribalta la prospettiva, parla di svogliatezza quasi lebowskiana, di tute comode, di birrette davanti alla partita, di anti-mondanità, dando anche voce al disagio che provano in molti sul posto di lavoro. Un salutare elogio all’ozio e al non apparire, quindi, che ricorda molto il Battiato del 1982, che nel suo personale gioco della torre sceglie di salvare solamente chi non ha voglia di far niente e non sa fare niente, condannando la società dello spettacolo. Sarti racconta tutto questo con un distacco e un’ironia quasi british, che sembra prendere le mosse da un certo britpop anni Novanta.

Più attesa era sicuramente, date le esperienze del comunque giovane cantautore e i palchi importanti già calcati, l’esibizione di Diego Esposito. Il musicista ha proposto i suoi pezzi che raccontano amori fugaci, storie finite male e relazioni complicate. Canzoni, queste, a volte molto coinvolgenti (come Vecchio eliporto) e dotate di un’ironica malinconia e, altre volte, più dolci e di una semplicità non superficiale. Brani che, oltre a evidenziare le ottime doti del cantante e chitarrista, richiamano anche echi di altri grandi artisti italiani come Dalla e, a tratti, Silvestri. Riuscito e inaspettato il duetto con un’altra gradita sorpresa della serata: la talentuosa cantante emergente Marte Marasco, reduce da Sanremo Giovani.

E al microfono de I Re Nudi ci sono stati anche Emilio e gli Ambrogio in versione duo, con il cantante Emilio Sanvittore e il pianista Alessio Pamovio. I loro pezzi hanno portato alla Taverna le atmosfere dei vecchi locali milanesi, dimostrando buonissime capacità di intrattenimento, soprattutto grazie alle doti teatrali del cantante Emilio Sanvittore. Il teatro canzone è stato quindi al centro di un’esibizione che ha saputo incrociare Jannacci e Buscaglione nel brano Allora Pronti e situazioni più intense e gaberiane in La libertà si paga, che ha riflettuto sui compromessi/tradimenti dovuti al passare del tempo con L’identità e ha divertito con la surreale M’hai strappato il cuor e la reinterpretazione del classico da osteria L’uselin de la comare.

Una serata che è riuscita a far vivere lo spirito di convivialità che sta alla base del festival musicale: gli artisti si sono infatti mischiati e hanno interagito e scherzato tra loro e con il pubblico. Un’ultima nota la merita l’esplosivo finale, che ha visto tutti i musicisti esibirsi insieme in Je so’ pazzo, cantata in modo convincente dal giovane musicista Pier Frau, Disperato erotico stomp, con alla voce Diego Esposito, e Ho visto un re, cantata da Emilio Sanvittore.

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L'autore di questo articolo

Daniele Frisco

È il flâneur numero uno, ideatore e cofondatore del giornale. Seduto ai tavolini di un qualche bar parigino, lo immaginiamo immerso nei suoi amati libri, che colleziona senza sosta e che non sa più dove mettere. Appassionato di Storia e, in particolare, di Storia culturale, è un inarrestabile studente (!): tutto è per lui materia da conoscere e approfondire. Laurea? Quale se non Storia del mondo contemporaneo?! Tesi? Un malloppo sul multiculturalismo di Sarajevo nella letteratura, che gli è valso la lode. Travolto da un vortice di lavori – giornalista, insegnante di Storia, consulente storico e istruttore del Basket Lecco – tra una corsa di qua e una di là ama perdersi nel folk-rock americano, nei film di Martin Scorsese e di Woody Allen, nella letteratura mitteleuropea e, da perfetto flâneur, nelle strade della cara e vecchia Europa. Per contattarlo: daniele.frisco@ilflaneur.com