VERANO BRIANZA – «Ogni volta che alziamo i muri aumentiamo la violenza». Parole che di questi tempi suonano profetiche. Parole pronunciate da un uomo che nel corso della sua vita ha visto tutto: la guerra, la ferocia, il fondamentalismo che non è religione, bensì lotta per il potere. L’incontro con Farhad Bitani è una scoperta: educatore e oggi anche scrittore, attraverso le sue parole ci si addentra in un mondo, il nostro, di cui spesso poco conosciamo. Un mondo fatto di geopolitica, di relazioni interessate, di obiettivi economici da perseguire, in cui interi paesi divengono campo da gioco per grandi potenze mondiali, fredda scacchiera su cui muovere le proprie pedine.
Iterfestival, la kermesse letteraria promossa dal Consorzio Brianteo Villa Greppi e da PEREGOLIBRI e in programma proprio in queste settimane in Brianza, ha portato a Verano Brianza un ospite che non si vorrebbe mai smettere di ascoltare, fondamentalista per nascita e oggi narratore desideroso di raccontare la verità. Perché solo la verità, queste le sue parole, può salvare un paese come l’Afghanistan.
Ultimo figlio di uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto l’Urss – il generale Mohammad Qasim – Bitani ha vissuto dapprima come privilegiato e poi, con l’arrivo dei talebani, da perseguitato. Sempre e comunque un’idea di fondo, stampata nella sua testa sin da bambino: il fondamentalismo come legge. «Sono nato e cresciuto nel fondamentalismo e nella guerra. La violenza – racconta – era parte della mia vita, una costante che all’età di sette anni mi ha portato a saper montare e smontare un kalashnikov, proprio come fosse un giocattolo. Non credevo esistesse un mondo diverso da quello che conoscevo: sin dallo scoppio della guerra civile in Afghanistan, foraggiata dagli USA in un’ottica anti-Urss, avevo sempre vissuto tra esecuzioni capitali e violenze di ogni tipo. L’arrivo dei talebani, voluti sempre dagli Stati Uniti in accordo con l’Arabia Saudita, non ha fatto altro che peggiorare le cose. Chiuse le scuole e sottomesse le donne, con i talebani la vita è diventata terrore. Noi bambini dovevamo andare nelle scuole coraniche e imparare il Corano a memoria, anche se in una lingua, l’arabo, che non conoscevamo. Vivevamo in un mondo in cui assistere alle esecuzioni capitali nello stadio di Kabul significava, così ci veniva insegnato, diminuire i nostri peccati dinanzi a Dio, in cui vedere picchiare una madre davanti ai suoi figli era giusto».
Un orrore quotidiano di cui, come denuncia lo scrittore, nessuno parlava. Un orrore, ancora, travestito da religione e che oggi Bitani chiama con il suo vero nome: «si tratta sempre e solo di interessi economici. Nessun fondamentalista serve Dio. Valeva per me o per i talebani e vale per l’Isis. Le maggiori aziende del mondo – aggiunge – sono nelle mani di fondamentalisti, con cui l’Occidente tratta quotidianamente. Sono gli interessi ad aver spinto gli USA a sostenere prima i mujaheddin, poi i talebani e infine, sul finire degli anni Novanta e in particolare dopo l’11 settembre, di nuovo alcuni mujaheddin».
E Bitani ne parla, racconta della difficoltà incontrata nel pubblicare il suo libro, L’ultimo lenzuolo bianco, scomodo per troppi. Racconta, ancora, del suo cambiamento, quando giunto in Italia (nel 2004 il padre è nominato addetto militare presso l’Ambasciata dell’Afghanistan in Italia) e ammesso all’Accademia militare di Modena inizia a conoscere i suoi infedeli. «Non potevo accettare di vivere tra i cristiani – racconta – e ogni persona che incontravo la guardavo con astio. Poi, un passo alla volta, ho capito che la conoscenza è quello che cambia il tuo cuore. Un piccolo gesto della madre di un mio compagno di Accademia, che mentre avevo la febbre mi ha toccato la fronte proprio come faceva mia madre, è stata la svolta. Un primo passo a cui ne sono seguiti altri. Ho letto tutto il Corano e non vi ho trovato nulla di quello che mi era stato insegnato. Ho scelto di conoscere, di incontrare l’altro. Chiudersi dietro un muro è sempre la scelta peggiore».
E le parole di Bitani fanno riflettere: mentre in Europa conosciamo il terrorismo da vicino, incontrare l’altro sembra la via. «Sentirsi diversi, emarginati, guardati con diffidenza non fa che aumentare la frustrazione. È lì che si annida il pericolo di radicalizzazione. Basta guardare i bambini, la loro spontaneità nell’essere amici indipendentemente dal colore della pelle, dalla lingua o dalla religione, per avere un grande insegnamento».
Dal 2012 Bitani si è congedato per dedicarsi alla promozione della pace e del dialogo interreligioso e interculturale. Una scelta che l’ha allontanato dal padre, ma che gli ha permesso di vivere una vita diversa: «un ragazzo cresciuto tra le armi non può risolvere le cose. Allora ho impugnato una penna e ho iniziato a raccontare il mio vissuto».
Valentina Sala