“Soltanto vive” di Stefano Raimondi
59 storie di violenza sulle donne, raccontate attraverso la poesia

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LECCO – Una raccolta di monologhi che dà voce a storie di violenza domestica, di dolore, di rimossi. Sono preghiere, atti estremi di resistenza o di sconfitta. Soltanto vive, scritto dal poeta Stefano Raimondi e pubblicato da Mimesis nella collana Filosofie del teatro nel 2016, è un libro che sta nel palmo di una mano, a scaffale occupa poco spazio e si riconosce dalla copertina verde, come la speranza. Ma questo oggetto all’apparenza innocuo è, in realtà, duro e crudele. Raccoglie «piccole prose poetiche» – così le definisce l’autore – cinquantanove monologhi, dedicati «Ai silenzi con le loro storie». L’autore scrive nelle note di aver composto la maggior parte dei testi tra il luglio 2013 e il luglio dell’anno successivo «per un amico-poeta bolognese intenzionato a pubblicare un’antologia di poesie sul femminicidio». Tra articoli di cronaca e testimonianze raccolte, «sono nati così, improvvisamente – il 13 luglio del 2013 – i primi monologhi».

Raimondi si cala, infatti, nel punto di vista delle donne che, di volta in volta, raccontano la propria storia e la donano al lettore, come testimonianza di qualcosa che non dovrà ripetersi ancora. «Ma quale amore, quale dolcezza – si legge, ad esempio, nel componimento 7 (p.17) – mi resta attaccata a questi denti spaccati? Volevo sorridere senza sapere di te, che mi cercavi ancora come le foglie, quando si sfondano a vicenda sui tombini, per cadere».

Soltanto vive è un vaso di Pandora: racchiude voci e bisbigli che, aperto il libro e lette le sue pagine, sfogano parole di rabbia e di dolore, che Raimondi esprime con la delicatezza e l’intensità della poesia: «…eppure – scrive nel Componimento 17 (p. 27) – ti credevo, sì, ti credevo! Come quando da piccoli si crede, che in cielo, ci sia qualcuno che spinge le nuvole».

Corpi che diventano reliquie e preghiere che si trasformano in maledizioni formano la materia di questo libro: «Sì! Sono una reliquia. […]Tu sia benedetto da qui, ma altrove che si sappia il tuo nome e dove vivi» (Componimento 15, p. 25).  Il poeta affida ai lettori e agli attori che interpreteranno i monologhi parole di donne che rendono testimonianza: attraverso la poesia, emergono autentiche e forti.

Il cinquantanovesimo monologo è seguito da una citazione di De la causa, principio et uno, di Giordano Bruno, quanto mai attuale: «Torno a scongiurarvi tutti in generale […] che dismettiate quella rabbia contumace e quell’odio tanto criminale contra il nobilissimo sesso femenile; e non ne turbate quanto ha di bello il mondo, e il cielo con suoi tanti occhi scorge».

Claudia Farina

 

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L'autore di questo articolo

Claudia Farina

È la più piccola dei flâneurs, con una chioma ribelle e un sacco di sogni. Fin da bambina innamorata del racconto e delle parole, saltella tra una storia e l’altra, tra la pagina e la vita. Laureata in Lettere Moderne, è alla ricerca costante di nuove ispirazioni e di luoghi dove imparare. La tesi sulla narrazione nella musica di Wagner è stata un colpo di testa (e un colpo di fulmine!). Suona il clarinetto da (un po’ meno di) sempre, ama la musica, l’amicizia quella vera, la natura, lo stupore e la Bolivia, che porta nel cuore. Crede negli incontri che cambiano la vita e la rendono speciale, come quello con Il Flâneur! Pensa molto (forse, troppo). Le piace viaggiare e scoprire il mondo, fuori e dentro i libri. Nella scrittura si sente a casa ed è convinta che la cultura, passione ribelle, sia davvero in grado di cambiare il mondo.