ITHACA, CALIFORNIA
OVEST, EST – HOME IS BEST
BENVENUTO, FORESTIERO
Itaca, terra dell’agognato ritorno. Città dell’attesa instancabile, dell’occhio vigile, dell’orecchio teso. Ulisse, l’eroe polytropos, dal multiforme aspetto e dall’ingegno moltiplicato negli anni, carico di avventure e di sventure, in cerca della sua terra, dove l’attendono l’amata Penelope e, finalmente, la pace.
In questo piccolo libro, c’è Ithaca, California, con il boschetto, il vecchio noce, gli orti e i vigneti, la ferrovia, il liceo, l’ufficio del telegrafo, il negozio del signor Covington in Tulane Street, la drogheria del signor Ara.
C’è Ithaca, California, con le sue Penelopi: mogli, madri, sorelle e figlie che aspettano e aspettano. E aspettano. Aspettano i loro mariti, figli, fratelli, padri, che scrivano. Che facciano ritorno. Perché la Guerra è in atto e la guerra allontana, divide, separa, strappa via per sempre. Non c’è niente di epico, nella guerra.
In questo piccolo libro, c’è Ulisse bambino: curioso, avido di esperienze, che si affaccia alla vita e vi si getta con fiducia e incoscienza. Ulysses, l’ultimo dei fratelli Macauley, quattro anni e un «sorriso gentile, saggio, un po’ enigmatico ». Guarda il mondo con gli occhi chiari e benevoli del bambino: «Tutto gli appariva strano, affascinante e senza logica. Era il suo mondo. Strano, pieno di erbacce e spazzatura, ma bello». Questo piccolo Ulisse non è tra quelli che vogliono tornare ad Itaca: appartiene alla schiera di chi aspetta e di chi immagina un futuro diverso.
Poi c’è Homer, Homer Macauley, il fratello maggiore di Ulysses, il più veloce portalettere della West Coast. Il suo animo pulito, il suo bisogno di correre, i suoi modi attenti, il suo ginocchio dolorante, la sua genuina umanità si attaccano alla pelle del lettore fin dal primo incontro. Homer è alla ricerca: del bene della sua famiglia, della felicità delle persone, dell’ubbidienza ai doveri, dell’onestà. Soprattutto, Homer Macauley di Ithaca, California, è alla ricerca di se stesso: «io non so come sia per gli altri […], ma io non sono soltanto il ragazzo che la gente vede. Io sono anche qualcos’altro…qualcosa di meglio. […] Non so cosa ne verrà fuori, ma qualcosa certamente sarà». Consegnare telegrammi bussando alle porte, leggere di volta in volta sollievo, gioia, preoccupazione sui volti delle persone, vivere il loro dolore, la loro perdita: questo è quello che fa Homer. Questo è quello che lo fa crescere e che lo trasforma in un giovane uomo.
A Ithaca, California, si incontrano personaggi stravaganti come il signor Spangler, il direttore del telegrafo, romantico sognatore, e il vecchio Willie Grogan, l’ultimo dei telegrafisti veri. A Ithaca, California, ci si imbatte in generosi sconosciuti, come il grande Chris, e si intavolano conversazioni surreali e viscerali, come quella che tocca di sostenere al cliente con Ara, l’armeno droghiere «che ce l’aveva con le malattie, il dolore, la solitudine, con la tendenza dell’uomo a desiderare quel che non può avere. Il droghiere ce l’aveva anche con se stesso per aver aperto quel negozio a Ithaca, California, a diecimila chilometri da casa […]».
Già. Perché ad Ithaca, California, convivono «americani, greci, serbi, polacchi, russi, messicani, armeni, tedeschi, neri, svedesi, spagnoli, baschi, portoghesi, italiani, ebrei, francesi, inglesi, scozzesi, irlandesi: quante razze diverse. Incredibile!»
Qui, tra figli e fratelli lontani in Guerra, tra messaggeri bambini che diventano uomini, tra corse in bicicletta e furti di albicocche, tra trappole per orsi e biscotti alle uvette, tra musica di arpa e pianoforte, tra amori che finiscono e altri che nascono; qui, nelle diversità, che da sempre esistono e coesistono, tra discriminazione e tolleranza, pacifica fratellanza, in un’America in cui «gli unici stranieri sono coloro che si dimenticano che questa è l’America»; qui, a Ithaca, California, come in tutto il mondo, si svolge la, grande o piccola che sia, commedia umana.
In questi tempi confusi e stridenti, la voce di Saroyan sembra elevarsi e avvolgerci tutti. In questa vita che è commedia e che, sempre più spesso, volge in tragedia, ognuno si senta accolto.
Grazie a Willyam Saroyan e al suo La commedia umana, scritto nel febbraio del 1943, ogni lettore può sentirsi a casa.
Claudia Farina