LECCO – Alla fine è toccato ad Andrea Tarabbia aggiudicarsi l’edizione 2016 del Premio Alessandro Manzoni, assegnato come ogni anno al miglior romanzo storico. È stata la storia di Andrej Cikatilo, il mostro di Rostov, autore di numerosi e terribili omicidi tra il 1979 e 1990, a convincere la giuria popolare e a far preferire Il giardino delle mosche alle opere degli altri due finalisti scelti dalla giuria di qualità, ossia Loriano Macchiavelli (Noi che gridammo al vento) ed Eraldo Affinati (L’uomo del futuro).
Un dibattito interessante, senza dubbio, quello che si è svolto sabato 22 ottobre presso il Teatro della Società di Lecco, ma che non ha avuto la verve e il ritmo della precedente edizione, quando Antonio Scurati, Leonardo Colombati e Massimo Zamboni avevano intrapreso una coinvolgente discussione sulla letteratura, senza risparmiarsi reciproche stilettate e provocazioni con un risultato a sorpresa che aveva di certo reso più incandescente il pomeriggio.
Seduti al centro del palco, i tre finalisti 2016 sono stati, come da prassi in occasioni simili, più composti dei loro predecessori, rispondendo con brevi riflessioni alle sollecitazioni del presidente della giuria Ermanno Paccagnini e a quelle di Stefano Motta. Dall’inevitabile rapporto con Manzoni al ruolo delle donne nei romanzi, dal linguaggio e dallo stile utilizzati a una riflessione sul romanzo italiano e sul suo rapporto con i fatti storici: queste le tematiche affrontate durante una serata che ha messo in luce quelle che nell’immaginario di noi lettori potrebbero essere le caratteristiche di ognuna delle personalità intervenute. Preparato russista e docente universitario, Tarabbia; brillante, ironico ed esperto scrittore di noir, Macchiavelli; impegnato professore interessato alle cause più nobili, Affinati.
Un dibattito che è quindi filato liscio, con Affinati a sottolineare l’emozionante vicinanza geografica tra il luogo dell’Addio ai monti e il centro di accoglienza per migranti, Macchiavelli a riflettere sull’importanza di Manzoni soprattutto a livello inconscio e Tarabbia a rivelare la fondamentale lettura della Storia della colonna infame come ultimo libro in preparazione alla scrittura del suo Il giardino delle mosche. Dopo un’interessante analisi delle tecniche espressive utilizzate, come spesso accade è stata la riflessione sul rapporto tra Storia e Letteratura a far innalzare decisamente il livello del confronto. Una tematica, questa, fondamentale in un premio dedicato a Manzoni e che quest’anno ha coinvolto esclusivamente volumi incentrati su un secolo intrigante e complesso come il Novecento.
«La letteratura italiana – ha sottolineato, infatti, Andrea Tarabbia – ha finalmente iniziato, dal 2010 circa, a confrontarsi in maniera sistematica con il Novecento. Un approccio importante, in quanto ritengo che i romanzi siano fondamentali per comprendere la Storia. La Letteratura non ricostruisce gli avvenimenti solamente attraverso i documenti, ma utilizza spesso la fantasia in modo da riempire buchi che la Storia ufficiale non riesce a colmare». Diverso l’approccio di Macchiavelli: «ho scelto di raccontare i drammatici fatti di Portella della Ginestra – ha spiegato – facendoli narrare da personaggi vissuti in anni successivi. Questo perché mi interessano le ripercussioni che la Storia ha su chi è sopravvissuto, che siano persone o luoghi. In questo modo ho anche evitato di cadere nel rischio di proporre una nuova versione di quei fatti che non hanno ancora avuto giustizia». L’autore de L’uomo del futuro ha posto l’accento, invece, sul ruolo dell’esperienza nel raccontare determinati fatti storici, in quanto «nel mio modo di lavorare – ha aggiunto Affinati – la parola è sempre legata all’esperienza e viceversa».
Sempre rimanendo sul tema Paccagnini ha fatto notare come si tratti, in tutti e tre i casi, di romanzi che prendono le mosse da periodi di grande cambiamento. Verrebbe da chiedersi allora, anche ascoltando le affermazioni degli scrittori, se siano proprio questi periodi a spingere gli autori a realizzare romanzi storici. «Ho scelto di scrivere di Portella della Ginestra – così Macchiavelli – in quanto c’è stato un cambiamento mancato. Cosa sarebbe successo in Sicilia e in Italia con una vittoria del Blocco del Popolo non solo alle regionali del 1947, ma anche alle politiche dell’anno successivo?». Cambiamento che è motore anche del romanzo Il giardino delle mosche: «i momenti di grande rottura nella Storia – è intervenuto Tarabbia – sono stimolanti perché matrici di importanti trasformazioni. Mi ricordo benissimo come, sin da bambino, alcuni eventi abbiano catalizzato la mia attenzione, dalla caduta del muro di Berlino all’esecuzione di Ceaușescu». Anche Don Milani, al centro dell’opera di Affinati, ha attraversato anni di grande cambiamento fuori e dentro la Chiesa: «don Milani – ha afferma lo scrittore – ha vissuto gli anni del Concilio Vaticano II ed è stato tirato più volte per la giacchetta in quanto punto d’unione tra l’Azione Cattolica cattolica e i movimenti di sinistra. Oggi Papa Bergoglio ha finalmente riconosciuto ufficialmente la sua importanza, rappresentandolo sempre meno come un corpo estraneo all’interno del mondo cattolico».
Storia e Letteratura, quindi: un argomento interessante e controverso che il tempo a disposizione non ha certo permesso di approfondire a dovere ma che è prezioso spunto di riflessione. Oppure, in mancanza di tempo e citando una felice battuta di Loriano Macchiavelli, possiamo sempre limitarci «a chiedere l’opinione di Baricco».
Ecco come si sono distribuiti i voti: Tarabbia 48, Macchiavelli 33 e Affinati 18.