di Arianna Minonzio
LECCO – Una storia quasi solo d’amore arriva a Lecco come è nata: spiazzando ogni aspettativa. Paolo Di Paolo è riuscito ancora una volta a smentire i pregiudizi dei suoi lettori su una storia d’amore che, nello spazio fra i due avverbi “quasi” e “solo”, apre lo sguardo su un orizzonte molto più vasto e raccoglie la sfida di raccontare ancora una volta di tutti noi. Ci si sarebbe potuti aspettare una storia fra le tante, racconto d’amore stanco e senza alcuna pretesa di aggiungere qualcosa di nuovo, ma questo romanzo, come si è evinto dall’incontro di venerdì 11 marzo a Lecco e nell’ambito di Leggermente, non ha nulla di convenzionale, nemmeno il titolo.
Intorno a un innamoramento nato da un bacio in una giornata di pioggia si svolge lo scontro fra due, anzi, tre generazioni: c’è Nino, ventenne disincantato che disprezza i “vecchi” e aspira a una carriera di attore, ma che si ritrova a tenere un corso di teatro per sessantacinquenni; c’è Teresa, trentenne ferita che si rifugia nella spiritualità; infine Grazia, voce narrante e vecchia zia, che, seppur tenendosi sempre lontana dalla vallata, finisce per influenzare le vite di tutti.
Ma la distanza fra queste orbite così siderali non scoraggia l’interesse che Nino prova per Teresa, perché lei possiede qualcosa di diverso da tutte le altre, una religiosità che lui non ha mai posseduto e che lo ha sempre allontanato dai cosiddetti “vecchi”. Una religiosità considerata un vecchio baluardo del secolo passato, ormai destinato a sgretolarsi sotto l’arma impietosa del disincanto e del cinismo. Questa diversità, tuttavia, gli appare come qualcosa di esotico e lo avvicina a quell’antico mistero che aveva sempre disprezzato, non accorgendosi che, rifiutando il passato, è sempre stato incapace di progettare il futuro.
È un giovane fra i tanti di oggi, spaesato, privo di coordinate, in un mondo che non sa più dare orizzonti su cui costruirsi un’identità solida perché giunto al tramonto e privo di tutto ciò che ha sempre definito il carattere, la vita dei nostri genitori. Nino si ritrova come di fronte a un mare aperto, una libertà morale sconfinata senza appigli a cui tenersi stretto o scogli contro cui collidere per definirsi meglio: lui, che non si era mai posto le domande fondamentali, dopo l’incontro con Teresa sarà costretto a porsi di fronte al tribunale di se stesso e da quel bacio, che abbatterà i calendari fra i due, potrà anche distinguere la sua voce interiore.
È un libro che se ha una morale dovrebbe essere proprio quella di ricordarci, in particolare ai giovani, che si può imparare qualcosa da tutti e che non bisogna fuggire dai magisteri, nemmeno da quelli di chi ancora appartiene a un secolo che sta morendo e che custodisce fra le rughe, perché loro più di chiunque altro possono farci capire come gestire il mistero del tempo che stiamo attraversando e darci la chiave per non farci più sentire quel vuoto che a volte proviamo di fronte a una finestra, in una giornata di pioggia, credendo che in realtà la pioggia sia dentro di noi.
Arianna Minonzio