LECCO – C’è chi con la sua penna ci porta in piena seconda guerra mondiale, raccontando la storia di dieci assaggiatrici di Hitler: dieci donne che nell’autunno del ’43, a Gross-Partsch, un villaggio poco distante dalla Tana del Lupo, divengono cavie delle SS, che con attenzione studiano le loro reazioni al cibo e si assicurano che quanto preparato per il Führer non sia avvelenato. E poi c’è chi riporta alla luce, dopo averne seguito le tracce e ricostruito la vita, una figura cancellata dalla Storia: quella di Rosalia Montmasson, l’unica donna ad aver preso parte all’impresa dei Mille, per vent’anni moglie di Francesco Crispi. E ancora un romanzo che conduce sulle montagne tra l’altopiano di Asiago e la val Brenta, dove sul finire dell’Ottocento si fanno i conti con la massiccia emigrazione verso il Nuovo Mondo e con l’arrivo in paese di due banditi. Le assaggiatrici di Rosella Postorino (Feltrinelli), La ragazza di Marsiglia di Maria Attanasio (Sellerio) e L’ultima patria di Matteo Righetto (Mondadori): ecco i tre romanzi storici finalisti dell’edizione 2018 del Premio Internazionale Alessandro Manzoni Città di Lecco, l’iniziativa promossa ogni anno dall’Associazione Nazionale 50&Più (in collaborazione con Assocultura Confcommercio Lecco, Centro Nazionale di Studi Manzoniani di Milano e Comune di Lecco e con il sostegno di Acel Service) e che assegna il Premio Romanzo Storico a un’opera di narrativa capace di raccogliere l’insegnamento di Manzoni. Tre romanzi, quindi, come sempre scelti dalla giuria tecnica tra più di cinquanta titoli e letti della giuria popolare composta da cento lettori, che sabato 13 ottobre presso la Casa dell’Economia di Lecco decreteranno, dinanzi ai tre autori, il vincitore della quattordicesima edizione del Premio. Novità di quest’anno, poi, il riconoscimento speciale “Storie di lago”, andato al romanzo “Di sangue e di ghiaccio” (Solferino) del giovane lecchese Mattia Conti.
I TRE FINALISTI:
LE ASSAGGIATRICI (qui la nostra recensione del romanzo) – La fame, il cibo, l’abbuffata. E poi, per circa un’ora dopo il pasto, la paura: «se il cibo era contaminato, il veleno entrerà in circolo rapidamente». È la vita di dieci assaggiatrici di Hitler, dieci donne che nell’autunno del ’43, a Gross-Partsch, un villaggio poco distante dalla Tana del Lupo, divengono cavie delle SS, che con attenzione studiano le loro reazioni al cibo. Cavie, quindi, necessarie per assicurarsi che quanto preparato per il Führer non sia avvelenato. Ispirato alla vera storia di Margot Wölk e di altre come lei, Le assaggiatrici di Rosella Postorino è un romanzo ambientato durante la seconda guerra mondiale, precisamente quando le sorti del conflitto sembrano per la prima volta poter cambiare e quando i sospetti di complotti contro Hitler iniziano a farsi strada. Protagonista del romanzo è un personaggio di fantasia, Rosa Sauer: appena arrivata da Berlino, senza sapere bene perché è una delle dieci donne selezionate dalle SS. Affamata come tutte, con incredulità si troverà a dover mangiare quanto “offertole”, a temere ogni volta per la sua morte, a fare la conoscenza di nuove persone, compreso un severo e ingiusto comandante con cui intreccerà «un legame speciale, inaudito».
LA RAGAZZA DI MARSIGLIA – Per vent’anni moglie di Francesco Crispi (conosciuto a Marsiglia), Rosalia Montmasson condivide ideali e azioni del marito, tanto da seguirlo in esilio a Malta e poi a Londra e a Parigi, sempre al servizio della causa mazziniana. Determinata, prende parte a riunioni clandestine e, soprattutto, alla spedizione dei Mille, ricevendo la medaglia direttamente dalle mani di Garibaldi. Poi, dopo l’Unità, i contrasti con un marito divenuto primo ministro e ora lontano dagli ideali mazziniani, la separazione, la cancellazione di un matrimonio divenuto un peso per Crispi. Una donna di cui pochi sanno, rimossa dai libri di storia e ora narrata da un’altra donna, l’autrice, che ne ha seguito le tracce e ripercorso i luoghi, scavando tra cronache e documenti e rendendo omaggio, di pagina in pagina, a una figura dal temperamento ribelle.
L’ULTIMA PATRIA – È un freddo novembre del 1898 e sulle montagne tra l’altopiano di Asiago e la val Brenta, nel paese di Nevada, gli abitanti sono ormai quasi del tutto scomparsi: in molti hanno scelto, spinti dalla povertà, di abbandonare la propria casa per emigrare alla volta dell’America, alla ricerca di una vita migliore. Secondo romanzo della “Trilogia della Patria”, dopo “L’anima della frontiera” Matteo Righetto torna a narrare l’epopea dei De Boer. Jole ha ora vent’anni, sua sorella Antonia si è fatta monaca, il fratellino Sergio si è ammalato di un inspiegabile tremore che fa temere per la sua vita e viene affidato alle cure della “Santa”, la guaritrice di un paese vicino. È in questo contesto che fanno la loro apparizione due banditi decisi a rubare il piccolo tesoro che la famiglia ha accumulato con il contrabbando di tabacco. Un evento che per Jole sarà il crollo del suo mondo e l’occasione per lanciarsi in un’avventura, alla ricerca di vendetta e giustizia. Un western epico e realistico, il tutto sullo sfondo dello spopolamento di fine Ottocento delle montagne venete.