LECCO – Massimo Zamboni racconta la storia passata della sua famiglia, che si intreccia con la storia del nostro Paese durante il fascismo e la guerra. Si tratta di L’eco di uno sparo, romanzo finalista dell’imminente edizione del Premio Internazionale Alessandro Manzoni e protagonista del nuovo appuntamento con la rubrica curata da PeregoLibri.
a cura di PeregoLibri, Barzanò
Massimo Zamboni, L’eco di uno sparo
«Questa è la storia di Ulisse e dei suoi sparatori che infine si spararono tra loro, tutto sconvolgendo. Il racconto di ciò che è stato prima e che ha innescato quei colpi in canna, di ciò che è stato dopo e perdura inconciliato, forse inconciliabile. Di questo la mia famiglia è stata testimone che ogni sparo da spari precedenti è generato e a sua volta genera spari, nell’instaurarsi di una catena senza fine. Questo abbiamo imparato: l’eco di uno sparo non si quieta mai».
Un racconto di ricerca delle proprie radici, la narrazione di un pezzo di storia individuale e di un Paese, che è il nostro. Lo scorcio dal quale osserviamo questa storia non è piatto e lineare; anzi, gli eventi si affastellano in un ordine cronologicamente incrociato, corrono paralleli e si intrecciano tra loro dipingendo un quadro sfumato e complesso, che staresti ad osservare per ore – e lo fai, senza stancarti. È affascinante.
Massimo Zamboni racconta la storia passata della sua famiglia, che si intreccia con la storia del nostro Paese durante il fascismo e la guerra, percorsa dall’eco degli spari che non risparmiano proprio nessuno e originano un vortice di colpi e ferite destinato a durare a lungo, perché l’eco di uno sparo non si quieta mai.
Tutto ha inizio da Ulisse, secondo nome dell’autore, ingombrante nella sua vita, pesante del ricordo del bisnonno cui il nome era appartenuto: squadrista, membro di direttorio del fascio, ucciso dai Gruppi di Azione Patriottica il 29 febbraio 1944.
«Di mio nonno, due sole cose possedevo: il nome, Ulisse, che io porto come secondo,e che sempre ho dovuto considerare come un intruso, una parte sconosciuta di me; e una giacca, un tessuto ruvido di lana, il nero orbace della sua divisa autarchica. Niente di più, prima di questo libro».
Seguiamo l’autore nella sua indagine in archivi impregnati di polvere e di vite, su per le colline emiliane e tra gli abitanti della nebbiosa Reggio, avvolti nei tabarri, in volo sulle loro biciclette, sopra la tomba dei sette fratelli Cervi – sette, quanti erano i fratelli B*, da cui discende Ulisse, il bisnonno di Massimo Zamboni – , tutti e sette fucilati dai fascisti nel 1944.
L’autore ci invita ad accompagnarlo attraverso le scoperte della sua ricerca, in un percorso profondamente intimo e personale, che rivelerà sorprese positive. È appassionante avvicinarsi alle persone che sono vive nel racconto, ci parlano, ci si mostrano in tutta la loro concretezza, con le loro azioni, i loro pensieri e le emozioni. L’autore ci vuole al suo fianco in questo suo viaggio nel passato e noi ci emozioneremo con lui, quasi fossimo cresciuti insieme.
La scrittura di Zamboni è cristallina, preziosa e piena di musicalità. È una meraviglia starlo ad ascoltare e calarsi nelle descrizioni così materiche e delineate.
Un libro vivo e intenso; sofferto; un racconto vero. Un bilancio amaro della storia e, insieme, una dolce nenia incantatrice.
Massimo Zamboni, L’eco di uno sparo, Einaudi, 2015