LECCO – Dopo la recensione del libro Marta nella corrente, pubblicata lo scorso 22 febbraio, PeregoLibri incontra per noi l’autrice Elena Rausa. Un’intervista in cui si parla di come nasce un libro e, ovviamente, del romanzo edito da Neri Pozza. Buona lettura a tutti!
La Redazione
Intervista curata da PeregoLibri, Barzanò (Lc)
Partiamo dall’inizio: come mai la scelta di scrivere un libro?
Nasce prima la scrittura e poi il libro. Ho vissuto la scrittura come un atto naturale: non pensavo che quello che avrei scritto sarebbe diventato un libro. Aiutando una mia studentessa nella ricerca dell’argomento per la tesi di maturità, mi sono imbattuta nella vicenda di tre ragazzi deportati in Valle d’Aosta, arrestati nel 1943, ebrei che si dichiararono tali pensando di avere una sorte migliore rispetto ai ribelli politici, puniti con la fucilazione. I miei studi italianistici e filologici mi hanno abituato ad approcciare la scrittura da un punto di vista storico-critico, vivisezionando gli autori del passato per lungo tempo; ma venire a conoscenza di questa storia vera, di vita vissuta, ha fatto risuonare in me un interesse nuovo, che si spingeva oltre la storia. La scrittura mi veniva a cercare. Le testimonianze che ho raccolto su quei ragazzi valdostani vittime della guerra, mi hanno fatto conoscere la figura di Luciana Nissim, che nomino con la massima delicatezza ed enorme rispetto. Giovane ebrea valdostana deportata nel ’43, sopravvissuta ai campi di concentramento, si è successivamente trasferita a Milano con il marito Franco Momigliano e si è affermata come psicanalista. Si tratta di un personaggio forse poco noto, ma di fondamentale importanza storica per i suoi contributi e le sue testimonianze. Dall’impronta di Luciana Nissim Momigliano ha preso forma il personaggio di Emma Donati, la psicologa che, insieme alla piccola Marta, è protagonista del libro.
Quale messaggio trasmette il romanzo?
Nel mio romanzo non ho voluto trasmettere un messaggio univoco, ma raccontare una storia che facesse affiorare spunti per molteplici riflessioni e che lasciasse spazio a più significati. Il punto centrale, però, è sicuramente quello del trauma, che tutti accomuna, e dei diversi modi di reazione ad esso. Marta, nella sua fanciullezza indifesa, rappresenta la regressione che ognuno di noi vive dopo essere stato colpito dal trauma, una regressione alla vulnerabilità. Ognuno di noi supera il trauma a suo modo, proprio come fanno i personaggi del libro: Emma con la dimenticanza, Marta con l’afasia, Aldo con il silenzio colpevole. La suspense che vive il lettore nel momento della lettura ha accompagnato per prima me durante la scrittura: nell’estate di 4 anni fa io non conoscevo tutti i personaggi e le loro vicende. L’unica cosa certa fin dall’inizio era il finale: sapevo che alla fine avrei dato sfogo alla tensione nel momento della confessione di Emma, non sapevo però per quale strada vi sarei giunta e quali personaggi avrei incontrato strada facendo. Ho vissuto il momento della stesura del romanzo con grande passione e stupore: le vicende mi si presentavano davanti inaspettate e mi spingevano a proseguire nel racconto.
Com’è nata l’idea di una costruzione narrativa giocata sull’incastro di piani temporali e livelli percettivi ed espressivi diversi?
La mia idea era quella di raccontare la vicenda del ’43, riverberata nel ricordo di un protagonista. Il personaggio di Marta è stata la chiave per risvegliare la memoria di Emma e portare alla luce la sua storia. Ho lavorato molto sul ruolo del narratore, che volevo rappresentasse il perno delle varie storie e, al contempo, si ritraesse, lasciando spazio alle voci dei personaggi, ai loro punti di vista. Il narratore è esterno e focalizzato, un ascoltatore pietoso. La sua prospettiva somiglia a quella dell’angelo protagonista del film Il cielo sopra Berlino, che osserva e percepisce i pensieri dei personaggi, sentendo su di sé il peso dei loro dolori. Anche in Marta nella corrente c’è partecipazione empatica tra il narratore e personaggi. Questa è stata una sfida per me, ho messo molta cura nella tecnica narrativa.
Marta nella corrente. Ma anche Emma, Aldo, Giuliana, Filippo… La corrente è la condizione umana?
La corrente è di tuti. Il libro non racchiude un messaggio intenzionale, ma il significato che affiora dalle pagine è che non ci si salva da soli. C’è, nel tempo, un’inevitabile necessità di adeguarci al tragico. La salvezza risiede nella relazione corale che ha una forza generativa. La corrente è anche quella concreta del fiume, dentro il quale stanno immobili delle pietre tonde e profumate, che non vogliono rendersi disponibili, ma lo fanno per chi ha bisogno di attraversare il fiume e scampare alla corrente che trascina.
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