Richard Strauss tra Wagner e i greci nella riflessione di Nicola Montenz. Il racconto della serata promossa da Aicc Lecco

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di Giuseppe Leone

È stata una conferenza online come da protocollo anti Covid-19 quella che Nicola Montenz, musicista e docente dell’Università Cattolica di Milano, dove insegna Cultura classica e Comunicazione, ha tenuto alle 21 di venerdì 27 novembre, con il titolo Introduzione alle Opere Greche di Richard Strauss, su proposta dell’Associazione di cultura classica di Lecco, alla presenza di un pubblico virtuale con partecipanti interessati e attenti.

Una conversazione – a detta della presidente Marca Mutti Garimberti che lo ha presentato – sulla mitologia e la cultura greca che ricorrono nelle opere del compositore tedesco e più in generale sui legami tra la cultura classica e il mondo germanico tra fine ‘800 e inizio ‘900, che Montenz ha condotto attraverso un’esposizione puntuale e intensa, pure scusandosi per questo intervento in tono “informale e meno professorale del solito”.

Lo ha fatto trascurando quasi del tutto la parte orchestrale, se non per brevi incisi sugli aspetti tonali piuttosto che atonali della musica di Strauss, per dedicarsi unicamente ai motivi letterari della sua produzione in collaborazione con il poeta e drammaturgo Hugo von Hoffmansthal e il filologo e storico Joseph Gregor, entrambi austriaci.

Sono cinque le opere greche del compositore tedesco – ammetterà il professore – attraverso le quali egli riscriverà la tragedia greca nel segno del terribile e del dionisiaco (lontano dalla serenità classica di Goethe), trasferendo drammi e passioni  in un mondo antico, osceno e feroce, che rimarrà costante per tutto il tempo  della sua produzione mitologica, da cui, eroi ed eroine riemergeranno ridisegnate con tinte ora tardo-romantiche, ora  novecentesche, ora anche venate di rococò settecentesco, ecc. .

Come Elettra, per esempio, che Montenz definirà “isterica appena alzatasi dal lettino di Freud”; Daphne, contaminata con le Baccanti di Euripide e con Wagner, se nel finale sceglie di diventare musica, rinunciando così alla seduzione del potere; Elena egizia, demonica, che rimanda all’Elena euripidea; Arianna a Nasso, un divertissement operistico più  vicino a Mozart che non a Wagner; e Danae, ovidiana e barocca, un “grande calderone di classici greci, compreso Ovidio, e tutto l’occidente artistico fino alla seconda guerra mondiale”, che il geniale compositore tedesco ha “risistemato all’esigenza di un mondo occidentale giunto al capolinea”.

Cinque opere greche, si diceva, ma anche cinque modi diversi di intendere la classicità, su cui il professore porterà l’attenzione ancora in chiusura di serata rispondendo a una spettatrice che, nell’arte di Strauss, “non c’è una vera evoluzione musicale, ma solo, qua e là, dei singoli  adattamenti; che ci sono, è vero, delle costanti di base ma a cui si alternano momenti di trasparenze assolute; che, nel suo mondo artistico, non c’è linguaggio innovativo, ma adattamento all’innovazione sì.

Non si è ancora detto che Montenz ha anche parlato del rapporto di Strauss con il nazismo, dicendo a questo proposito che il suo rapporto è stato assai controverso a causa di comportamenti talvolta contraddittori: quando  alle Olimpiadi di Berlino del ’36 il compositore ha rifiutato di eseguire l’inno nazionalsocialista e quando ha accettato la presidenza della Camera musicale del Reich dal ’33 al ’35; o quando, chiamato assieme a Wilhelm Furtwängler, espressamente da Hitler, per rimpiazzare i direttori d’orchestra ebrei che venivano epurati, accettò, e non tanto per continuare a lavorare, quanto a ben disporre il regime verso uno dei suoi figli che aveva sposato un’ebrea.

Chiudono l’incontro gli applausi del pubblico e il saluto della presidente che augura e si augura che il prossimo incontro possa avvenire finalmente in sede.

Giuseppe Leone

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