“Ancora una volta con sentimento”, come recita il titolo di un disco non fra i più famosi dei Nomadi uscito nel 1982: si potrebbe riassumere così lo spirito con cui Graziano Romani ha tributato l’arte e le canzoni di Augusto Daolio e dei Nomadi nel suo nuovo lavoro intitolato “Augusto. Omaggio alla voce dei Nomadi”, pubblicato dal rocker emiliano a metà settembre per l’etichetta Route61 Music. Un album bellissimo già a partire dall’artwork e dalla copertina, con richiami alle grafiche degli anni ’70 e a quel tipo di rock che anche i Nomadi hanno contribuito a diffondere in Italia e del quale, inevitabilmente, lo stesso Romani s’è nutrito insieme a tutto il resto della musica anglo-americana che l’ha formato nel corso degli anni.
E di sentimento, in questo disco Graziano Romani ne ha messo davvero tanto: l’aveva già fatto una ventina d’anni fa con il brano Augusto (cantaci di noi), contenuto nel suo grandioso album “Storie dalla Via Emilia” e qui doverosamente riproposto in apertura e chiusura del disco. Nel mezzo una dozzina fra le canzoni più significative dei Nomadi e di Augusto registrate fra gli anni Sessanta e Novanta, fra cui spiccano evergreen come Un giorno insieme, Tutto a posto o Mercanti e servi, brani di Francesco Guccini (Canzone per un’amica e Per fare un uomo), così come cover inglesi (Ala bianca) e americane (L’auto corre lontano ma io corro da te e Ti voglio). Quello di Graziano Romani è un omaggio davvero sentito e voluto, così come sentiti e voluti erano stati negli anni scorsi i tributi rivolti all’altro grande maestro e faro illuminante per molti blood brothers come Romani, ovvero Bruce Springsteen. A differenza di quei due album – Soul crusader e Soul cursader again – qui Romani mette a disposizione la sua voce tanto riconoscibile quanto profonda e intensa per rivolgersi a un “mito” geograficamente molto più vicino, a un’icona della musica d’autore italiana che anche a distanza di tanti anni dalla sua prematura scomparsa – avvenuta il 7 ottobre 1992 – riesce ancora ad essere fonte d’ispirazione per molti artisti che con lui condividono gli stessi ideali e le stesse radici della terra emiliana.
Come detto, il disco si apre e si chiude con Augusto (cantaci di noi), brano autografo di Romani nel quale l’autore tratteggia un commosso ritratto del leader dei Nomadi a partire dalla piazza della sua Novellara: “Dalla piazza di Novellara fin dove arriverà la strada, se chiudi gli occhi è quasi America… E antiche storie di mille e una sera, finché la vita sembra più sincera, partigiano senza fucile resta qua… Augusto, cantaci una canzone libera, disegnaci itinerari di anima per nomadi in cerca di un’identità, Augusto cantaci di noi…”. Nella breve versione reprise che conclude il disco, Romani aggiunge una strofa alla canzone, regalando così una nuova piccola versione del brano solo per voce e tastiere: “Dalla piazza di Novellara fin dove arriverà la strada, su una terra che mai non si dimentica della tua voce che unisce verità e bellezza, come foglie sospinte dalla brezza, vagabondo che non sei altro, siamo qua…”.
Direttamente dai gloriosi anni ’70, arrivano le famosissime Tutto a posto (originariamente pubblicata come 45 giri nel 1974 e presentata a Un disco per l’estate) e Un giorno insieme (uscita nel 1973 come titletrack dell’album omonimo), entrambe rilette magistralmente con un sound più rockeggiante rispetto alle versioni dei Nomadi. Tutto a posto diventa un rock/blues allo stato puro, una goduria per lo stile con cui viene suonata e interpretata da una band veramente affiatata: una vera lezione sul come fare rock in Italia, perfetta e tirata come ci si aspetterebbe da Graziano Romani. Un giorno insieme al contrario risulta un po’ troppo veloce e soffre forse della mancanza di un organo o di tastiere a sostenere la melodia, ma è giusto così, altrimenti avremmo avuto delle copie degli originali: è lo stesso Graziano ad avvisare nelle note di copertina di aver rivisitato a suo modo queste canzoni: “Dal canto mio spero di essere riuscito ad approcciare questi brani con rispetto e sincerità, ed anche con un pizzico di originalità, nel nome di Augusto”.
Dal repertorio di Guccini vengono estrapolati due episodi di fine anni ‘60, ovvero Canzone per un’amica – caratterizzata da un tiro da rock-ballad americana e un sax che fa volare direttamente dall’Emilia al boardwalk di Asbury Park, New Jersey – e la sempre illuminante Per fare un uomo, Anno Domini 1967 e originariamente scelta dai Nomadi come lato B del 45 giri di Dio è morto. Entrambe le composizioni sono quelle che a mio parere si avvicinano di più al sound di Springsteen e della sua E Street Band, soprattutto per via della presenza del magico sax di Max Marmiroli che avvolge e fa brillare più di rock che di folk ambedue i pezzi, trasportandoli direttamente da Novellara a Freehold.
Sempre a cavallo tra fine anni Sessanta e prima metà dei Settanta si aggiungono a questa speciale tracklist alcune cover di brani stranieri, tradotti e riproposti con testo italiano dai Nomadi così come accadeva per moltissimi altri artisti in quegli anni: così Wichita Lineman, scritta da Jimmy Webb e cantata fra gli altri da Glenn Campbell, diventa nel 1969 per i Nomadi L’auto corre lontano ma (ma io corro da te); Graziano Romani ne offre una rilettura rispettosa e delicata, il cui risultato è molto valido e riuscito. Ala bianca – incisa come singolo dai Nomadi nel 1971 e inserita nella raccolta Mille e una sera – non è altro che Sixty years on di Elton John, altro punto di riferimento per Romani, che qui opta per una rilettura in chiave quasi acustica del pezzo, privilegiando flauti e chitarre alle tastiere e agli archi presenti nella versione originale: il risultato è interessante, anche se forse perde un po’ dell’epicità che regalavano in questo brano Augusto e i Nomadi, soprattutto nelle versioni dal vivo. Tra gli omaggi che suonano invece più “americani”, quasi inevitabilmente non poteva mancare quella I want you di Bob Dylan che qui si trasforma in una travolgente versione di Ti voglio, con un’armonica a bocca strepitosa che tira la volata a una stupefacente rilettura di un classico tanto nel repertorio del menestrello di Duluth quanto in quello della band di Novellara. Inutile dire che Graziano Romani “senta” e racchiuda in sé tutte queste anime, da quella della tradizione anglosassone a quella americana più on the road e cantautorale, e che quindi riesca a rendere alla perfezione tutte queste canzoni, facendosi interprete e ulteriore ponte generazionale tra la fatidica Via Emilia e il West, così come a suo tempo aveva fatto Augusto nel riproporre quei brani.
Per quanto riguarda invece il repertorio prettamente nomade, oltre alle già citate Un giorno insieme e Tutto a posto, Graziano Romani opera una scelta per nulla banale all’interno della monumentale e sconfinata discografia del gruppo che fu di Augusto Daolio, dimostrando come aveva fatto per Springsteen uno spiccato gusto per le canzoni in apparenza “minori”, ma che poco o nulla hanno da invidiare a brani ben più blasonati; evitando accuratamente le “solite” Io vagabondo, Dio è morto o Un pugno di sabbia, sceglie invece piccole gemme meno conosciute al grande pubblico, come Gordon o Ritornerei (entrambe dall’album Gordon del 1975), Mille e una sera (tratta dall’omonima raccolta del 1971 che conteneva i singoli usciti tra il 1969 e il 1971), Non credevi (da Naracauli e altre storie del 1978) e la più recente ma sempre fin troppo attuale Mercanti e servi (dall’iconico Solo Nomadi del 1990, uno dei più bei dischi dei Nomadi). Una scelta non banale né scontata, che dimostra ancora una volta l’amore, la conoscenza e il rispetto del cantautore emiliano nei confronti delle canzoni di Augusto e dei Nomadi: se avessi dovuto scommettere sulla riuscita dei pezzi a partire dai titoli scelti da Romani, avrei puntato sicuro su Non credevi e Ritornerei, che infatti, proprio per la loro anima blues, ben si addicono alle caratteristiche del cantautore emiliano. Il risultato in entrambi i casi è eccellente: grazie anche al sapiente uso dell’armonica, Non credevi acquisisce un piglio più deciso e graffiante rispetto all’originale dei Nomadi, mentre Ritornerei diventa come un classico blues rallentato pieno di chitarre in pieno stile Rolling Stones. A completare un terzetto da brividi ci pensa la fenomenale e purtroppo ancora attuale Mercanti e servi: il riff originale suonato dalle tastiere di Beppe Carletti viene affidato alla chitarra di Follon Brown, ma è tutto il groove del pezzo ad essere azzeccato e a regalare ulteriore freschezza a uno dei brani simbolo degli ultimi anni di Augusto. Anche Gordon – titletrack dell’album più psichedelico e sperimentale dei Nomadi, uscito nel 1975 – risente in questo omaggio di una fantastica rilettura quasi in chiave prog, con un pregevolissimo intreccio fra chitarre, sax e batteria a sostenere l’andatura di tutto il pezzo. Molto particolare e volutamente lontana dall’enfasi dell’originale, per via dell’inarrivabile e ineguagliabile estensione vocale sfoderata da Augusto in questa registrazione, è infine Mille e una sera, brano del 1971 poco noto e suonato in pochissime occasioni anche dagli stessi Nomadi: dopo averla citata nel testo della sua Augusto (cantaci di noi) che apre e chiude il nuovo album (“E antiche storie di mille e una sera, finché la vita sembra più sincera…”), Graziano Romani ne fa una versione più da classic rock, con chitarre in evidenza e un sound più vicino al suo modo di sentire e suonare.
Un disco necessario, questo “Augusto. Omaggio alla voce dei Nomadi”, bellissimo ed emozionante perché frutto di un’urgenza comunicativa e non solo estetica o di facciata, nato dalla volontà di ricordare attraverso le sue canzoni un artista a tutto tondo che ha lasciato una forte impronta del proprio passaggio; un disco che vuole essere un ringraziamento in musica nei confronti di chi come Augusto, da emiliano con radici ben piantate in pianura e ali rivolte sempre verso il cielo, ha saputo raccontare quelle emozioni che ancora oggi stanno alla base della musica, dell’arte e del sentire di artisti come Graziano Romani, cresciuti inevitabilmente lungo quel solco di terra che parte dalla Via Emilia – più precisamente dalla piazza di Novellara – e arriva fino al grande West americano tanto sognato, a volte vissuto e spesso interpretato attraverso quello strumento sempre stupefacente che sono la musica e certe piccole grandi canzoni come quelle di Augusto e dei Nomadi. Con questo lavoro Graziano Romani ha contribuito non solo a rendere un omaggio profondo e intenso ad Augusto Daolio, ma anche a colorare di rock e di blues questo nostro tempo sempre più grigio e decadente, confermando la validità di una frase che lo stesso Augusto amava ripetere molto spesso e che campeggia anche all’interno del cd: “Ogni nostra azione, anche la più piccola, della nostra vita è responsabile della bellezza o bruttezza del mondo”.
Matteo Manente