LECCO – «Fu un periodo felice innanzitutto perché si era giovani, ma anche perché vissuto alla Canottieri, una società che fa felicemente i suoi centovent’anni». Ne parla così Pino Pozzoli, socio della Canottieri Lecco dal 1957 e protagonista di questo nuovo appuntamento con la rubrica Canottieri Lecco: 120 anni di Sport, Passione, Racconti. Un periodo di amicizie, scherzi alle ragazze, avventure nel lago. Un periodo che Pozzoli ricorda con un pizzico di nostalgia…
Nostalgie
di Pino Pozzoli
Entrava ogni giorno in Canottieri con piglio militaresco e chiamava con la sua tipica erre moscia: «Callo!» Anni Trenta: lui era l’ingegner Riccardo Badoni, Callo era Carlo Corti, il falegname costruttore delle decine di barche da passeggio che allora c’erano in Canottieri. Io ero amico di Mario, figlio di Carlo e dell’Annetta, simpatica friulana custode e factotum della sede; con Mario frequentavo le elementari al Collegio Volta e spesso facevamo insieme i compiti di scuola nel locale d’ingresso, ora segreteria.
La Canottieri mi appariva come un luogo di giochi e di avventura, una scoperta del lago come un’alternativa alla montagna, dove ero abituato a trascorrere le mie ore di svago, come la maggior parte dei lecchesi, giovani e vecchi. A tale proposito fu l’ingegner Badoni a intuire che il lago fosse una risorsa sportiva e turistica alternativa alla montagna, tale da meritare una struttura come la Canottieri da lui voluta, costruita con materiali e progettazione a quei tempi assolutamente all’avanguardia. L’uso del cemento armato in edilizia risale appunto agli anni Venti, quando furono costruite le strutture a lago.
Dopo quel primo approccio della mia infanzia, risale ai primi anni Cinquanta la frequentazione come socio: dapprima fui attratto dal tennis, che ho praticato fino a tarda età, con grande passione e modesti risultati. Ma i ricordi più vivi risalgono a quando, insieme ad alcuni amici universitari, avemmo l’idea di praticare la vela. L’occasione ci fu data dall’acquisto di una vecchia barca originariamente di proprietà del giornalista Fusco del giornale “Il Giorno” e poi del compianto socio Gian Luigi Galli, che ce la cedette per pochi soldi. Si trattava di una deriva fuori stazza in legno, pontata, di notevoli dimensioni: almeno dieci metri di lunghezza, bompresso compreso, e dodici di alberatura.
Eravamo in quattro soci, studenti squattrinati, impegnati a turno a scorrazzare per il lago, spesso in compagnia delle ragazze che invitavamo a bordo. Avevamo escogitato un modo un po’ sadico per divertirci: le ragazze sedevano nel pozzetto sui listelli del ponte che presentavano delle fessure e, quando la barca cambiava di bordo, i listelli si serravano e pizzicavano il “lato b” delle ragazze, che, dopo avere urlato, partecipavano di buon grado alle risate generali.
Le avventure furono molte, divertenti e non, come quando uno di noi, impegnato nella sverniciatura della barca mediante una fiamma a gas, fu costretto a gettarsi in acqua per spegnere la fiamma che gli si era attaccata ai calzoni. Oppure quella volta che, a causa del forte vento, la barca, male ormeggiata, urtò per un’intera notte contro un motoscafo di lusso, ormeggiato accanto, provocandogli una falla a rischio di affondamento; squattrinati come eravamo fu assai dura pagare il danno. O, ancora, quell’altra volta, in cui sopresi da un improvviso “urif”, il cosiddetto stravento estivo, molto pericoloso, rischiammo di finire sotto il ponte nuovo. Fu il buon Gaudenzio a riportare in porto la barca lasciata sulla sponda di Malgrate.
Il rientro della barca in darsena dopo le nostre escursioni rappresentava ormai un vero spettacolo per i soci curiosi, affacciati alle terrazze; la manovra non era semplice, date le dimensioni della barca e il vivace spirare del Tivano o della Breva. Una volta finimmo con il bompresso infilato nel tubo di una fogna dismessa, all’entrata della darsena, con gande divertimento degli spettatori. E non era finita lì, perché poi gli sfottò duravano delle settimane nei gruppetti di buontemponi stazionanti nel cortile.
Fu un periodo felice innanzitutto perché si era giovani, ma anche perché vissuto alla Canottieri, una società che fa felicemente i suoi centovent’anni, unica nel suo genere perché ha rappresentato e rappresenta tuttora una rara polisportiva autentica, ricca di campioni e, contemporaneamente, un club famigliare, dove i giovani passano utilmente il loro tempo libero e gli anziani…nostalgicamente ricordano.
Pino Pozzoli