di Patrizia Gobbi
Una sala gremita e spettatori seduti sulle scale alla Casa dell’Economia di Lecco per la consegna, nella serata di giovedì 9 novembre, del premio alla carriera “Alessandro Manzoni”, edizione 2023, vinta da Alessandro Barbero, storico, scrittore, divulgatore e ormai, grazie alla notorietà conquistata sul web, anche icona pop. Elevatissima la partecipazione dei giovani sebbene il professore ci tenga subito a sottolineare come la storia a scuola continui ad attestarsi ai primi posti tra le materie considerate più noiose. Dunque, ancora più merito va a Barbero che trasforma le lezioni pubbliche su Federico II, o sulla Rivolta dei Ciompi, in eventi sold out e tutto ciò è frutto di rigorosissimi studi accademici – attualmente è docente di storia medievale presso l’Università degli studi del Piemonte – ma anche delle sue notevoli doti oratorie e della sua verve, alimentate da tanta ironia e signorile understatement.
Un’ora e venti, il classico formato-Barbero, di contraddittorio arguto moderato da Ermanno Paccagnini, docente di letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano, in cui l’acclamato professore ha iniziato la serata raccontando la genesi delle sue ispirazioni letterarie: come un innamorato lo scrittore si invaghisce di un dettaglio che diventa il centro di tutti i pensieri attorno ai quali ruota poi la scrittura; ed è come vivere una passione che si conclude a libro ultimato. Il mestiere di storico obbedisce alle stesse regole: «decifrare un documento della contabilità fiscale del comune di Vercelli nel XV secolo diventa centrale nella tua vita finché non hai finito», dichiara Barbero. Ogni opera, romanzo o saggio, è per lo scrittore un pezzo della sua vita, un “peccato” a cui non si sfugge e di cui rendere conto – osserva divertito – soprattutto se si riceve un premio alla carriera.
Lo storico passa dunque in rassegna le sue opere sottolineando quanto gli sembri strano dover parlare della poetica di un autore, quando l’autore è lui stesso. «Ma è colpa vostra!», chiosa sornione. Il romanzo che gli ha cambiato la vita è comunque il primo, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo, vincitore del prestigioso premio Strega nel 1996. Il romanzo è un finto diario di un gentiluomo americano che viaggia per l’Europa del 1806 e assiste alla battaglia di Jena in cui l’efficientissimo esercito prussiano subisce in un solo giorno una devastante sconfitta a opera di Napoleone Bonaparte. Barbero scrive questo romanzo perché è un grande lettore di diari scritti da viaggiatori settecenteschi: ecco dichiarato lo spunto minimo, il bagliore dell’innamoramento, insignificante per chiunque tranne che per lui. «Ho voluto imitare il loro spirito, il loro cinismo. Ma la verità è che da bambino giocavo con i soldatini e avevo anche quelli prussiani, che erano i miei preferiti». Il professore allora si inventa un alter ego per fingere di essere lì a far parte di quella battaglia, con quell’esercito; per scoprire cosa vuol dire sbarcare ad Amsterdam all’inizio del XIX secolo e trovare alloggio in città, prendere una carrozza e viaggiare per arrivare infine sul quel campo di guerra tante volte messo in scena con i soldatini. A questo proposito Barbero ricorda orgoglioso le parole di Raffaele La Capria, che dopo avere letto il suo romanzo gli rivelò: «mi sembrava di stare lì» e fu uno dei più grandi elogi che abbia amato ricevere.
Ma poiché ci troviamo a Lecco con un premio intitolato ad Alessandro Manzoni, il professore non può sottrarsi al giudizio sull’opera dell’omonimo illustre fondatore del romanzo storico italiano: «noioso!». Ma, battute a parte, interessanti sono le riflessioni che propone a partire dal dispiacere per l’ambiguo status internazionale del romanzo, mai giunto ai livelli del Don Chisciotte di Cervantes o del Faust di Goethe, seppure I promessi sposi avessero goduto di grande fortuna nell’immediato. Barbero si spiega meglio attraverso quello che definisce un “cortocircuito” imprevisto: in una delle lettere scritte alla moglie da Carl von Clausewitz nel 1830, e da lui lette per documentarsi sul romanzo Premio Strega, appare la domanda «Hai letto il romanzo del Manzoni? Lo trovo molto interessante!». Dunque dobbiamo immaginarci il militare in una qualche guarnigione sperduta in Slesia o a Potsdam che legge con gusto la vicenda di Renzo e Lucia perché a quei tempi era un romanzo contemporaneo di successo che circolava in Europa, ma oggi purtroppo non è più così. Una seconda interessante riflessione, che vale per Manzoni ma anche per Barbero stesso, ad esempio nel romanzo Brick for Stones, è che quando si fanno muovere i personaggi di un romanzo su uno sfondo reale ci si diverte molto, perché l’accuratezza del dettaglio potenzia l’invenzione: se uno scrittore decide di far abitare i suoi due contadini in un piccolo e specifico paese sul lago, si deve anche prendere la briga di scegliere il sentiero da cui far scendere don Abbondio a incontrare i bravi. Così sembra che ci sia qualcosa di vero tra le cose inventate.
E qui il Barbero storico prende il sopravvento sul Barbero scrittore: entusiasmandosi apre una delle sue tanto amate divagazioni e racconta come Manzoni, pur descrivendo il 1600 come un secolo di violenze e soprusi, in barba al realismo offrisse invece ai suoi lettori ottocenteschi una visione alquanto edulcorata di quel periodo. Non faceva eccezione nemmeno Don Abbondio, personaggio di assoluta fantasia. Manzoni abituato ai parroci di campagna del suo tempo forse faticava a concepire il parroco italiano del 1600 che andava in giro con l’archibugio e che molestava ragazzine e ragazzini della propria parrocchia, di cui abbiamo a tal proposito una grande quantità di denunce, processi e testimonianze che lo dimostrano. E quando, per giustificare la motivazione del premio alla carriera, Ermanno Paccagnini sottolinea come nel professore convivano sempre tre piani narrativi: quello storico, quello del romanzo e quello della oralità divulgativa, Barbero si schermisce ma torna a prendersi la scena dichiarando: «è sempre bellissimo parlare in pubblico delle proprie qualità, i difetti li teniamo per il privato». Ma poi aggiunge che fare lo storico significa studiare continuamente, dare ai documenti prospettive sempre originali per nuove domande a vecchi problemi. Il bello del mestiere, qualcosa che si può insegnare a tutti, è che «qualunque cosa ti dicano, la replica è: “E tu come fai a saperlo?»: felice suggerimento, di questi tempi, a tutti quei giovani che lo seguono con passione, a non accontentarsi delle risposte, ma a preoccuparsi di fare domande.
Patrizia Gobbi