«Cultura della birra, cultura dei luoghi e delle persone che la birra la producono. Cultura che può essere millenaria, secolare o anche nata da pochi anni. Non è necessariamente questione di età. Dove c’è la birra, ci sono persone che la producono e la consumano. E quelle persone, siano esse vecchi contadini di un villaggio inglese o giovani hipster nella tap room di un microbirrificio statunitense, attorno a una pinta aggregano una serie di significati, di comportamenti, di modi di essere che creano una cultura del bere. Gemütlichkeit, dicono i tedeschi, quando vogliono descrivere una condizione di convivialità, amicizia e calore».
Ci piace partire da qui, da quest’estratto che parla di birra come cultura, per una chiacchierata in compagnia di Daniele Cogliati, degustatore esperto, giudice BJCP e autore del suo primo libro: Questione di Pinte – Libretto in 4 sorsi, edito da Teka Edizioni di Lecco. Un volume che porta alla scoperta di una delle bevande più antiche, un lungo viaggio che racconta delle origini, degli stili principali, di come si produce e si degusta una birra. Un breve libro dedicato a chi la vuole conoscere meglio, ma anche, come riportato nella citazione, un libro che parla della storia dell’uomo, di luoghi e di persone che nei secoli si sono incontrate e si sono scambiate usanze, gusti, tradizioni e innovazioni. In una sola parola: cultura.
Daniele Cogliati, prima di addentrarci nel tuo libro, partiamo dalle origini della tua passione: la birra. Come è iniziato tutto?
Ho iniziato ad appassionarmi frequentando un locale specializzato in birre belghe, la birreria Peppo di Colle Brianza. Da lì è partito tutto: numerosi corsi di degustazione, dai meno approfonditi a quelli più specifici, per poi studiare per il BJCP (Beer Judge Certification Program), un ente americano che certifica i giudici per le competizioni di homebrewers. Ma lo studio da solo non basta, è molto importante anche un allenamento costante: ci si deve infatti esercitare ad assaggiare e a descrivere quello che si assaggia.
Poi, dopo anni di assaggi, l’idea del libro…
L’idea è stata di Teka Edizioni, che nella primavera 2019 ha pensato di commissionarmi questo volume. Dopo un anno di lavoro, ne è emerso un libro che si rivolge soprattutto ai curiosi, a chi non è esperto, non conosce a fondo la birra e vuole approfondire l’argomento.
Come anticipato, si tratta di un libro che non si limita alla birra, ma che partendo dalla sua tradizione millenaria attraversa anche la Storia, soprattutto quella europea…
Sì, quando parlo di birra lo faccio a 360 gradi. In questo libro c’è in po’ di tutto, dalla produzione alla degustazione, dalla storia alle diverse tipologie, o per lo meno gli stili più importanti realizzati in Europa e nel Mondo. In ogni pinta c’è una percorso che ci parla di chi l’ha prodotta e soprattutto del luogo da cui proviene. Le materie prime presenti in una determinata regione hanno infatti storicamente influenzato lo stile della birra prodotta. Per fare un esempio, le Pils originarie della Boemia sono prodotte utilizzando l’orzo maltato, il luppolo Saaz e l’acqua di Pilsen, povera di sali minerali. Sono tutte materie prime tipiche della Boemia e che a metà dell’800 hanno permesso di realizzare una birra chiara ma molto luppolata. È uno stile di birra nato sfruttando le caratteristiche del luogo di origine.
Nel libro, come per tutta la storia dell’umanità, si nota come la nascita di nuove birre poi diventate tradizionali sia dovuta a incroci di popoli e culture…
Esattamente, si tratta di una trasformazione continua. I contesti nei quali sono nate le diverse tipologie di birra sono stati frutto di scambio, incrocio e variazioni sul tema. Un esempio classico possono essere le reinterpretazioni degli stili europei negli Stati Uniti: dalle Ipa inglesi diventate American Ipa alle Stout e alle Porter americane. Ma anche le già citate Pils dalla Repubblica Ceca hanno raggiunto la Germania e addirittura l’Italia. Questi spostamenti portano a rivisitazioni, a cambiamenti continui. Anche le birre che vengono definite tradizionali sono comunque derivate da qualcosa che esisteva in precedenza e che poi si è modificato. Certamente ci sono le divisioni in stili, che sono abbastanza rigorose perché servono a dare un’idea e a orientare meglio, ma è bello che ci sia anche la varietà, la fantasia e l’interpretazione.
Dal libro è evidente come per decenni in Italia la birra sia stata vittima di una sorta di pregiudizio in un paese dominato dal vino…
Questo pregiudizio è ancora presente, perché tradizionalmente abbiamo altri prodotti da valorizzare, come vini, oli e formaggi. La birra è stata lungamente un settore marginale di influenza mitteleuropea, almeno da metà Ottocento fino alla seconda guerra mondiale. Dopo il secondo conflitto mondiale è rimasta la produzione industriale, che promuoveva un prodotto adatto a un consumo stagionale: una bevanda chiara, ghiacciata e soprattutto leggera. Una pubblicità degli anni Cinquanta recitava addirittura che anche al volante la birra fosse la bevanda più sicura. La produzione industriale ha dominato anche in altri paesi, come ad esempio gli Usa, dove per molti decenni, dal proibizionismo agli anni 60-70, la birra è stata realizzata solo a livello industriale. In seguito, un po’ alla volta, sono nati i primi birrifici artigianali, che riproducevano stili europei aggiungendo, come dicevamo, qualche novità presente sul territorio.
Abbiamo accennato a luoghi dai quali è passata la storia del bevanda. A questo proposito, nel libro parli anche di turismo birraio. Tu cosa suggerisci come prima regione da visitare?
Io direi assolutamente la parte settentrionale della Baviera, ossia la Franconia. In questa regione c’è un’altissima concentrazione di birrifici, il tutto unito a città bellissime come Bamberga.
Per concludere, un consiglio: una birra ideale per un Flâneur?
In questo periodo estivo direi che potrebbe andare bene una blanche belga con scorza di arancia amara e coriandolo: bella rinfrescante e poco alcolica, è perfetta per vagare per le città senza soffrire troppo il caldo.