I Nomadi ci credono ancora: nonostante i cinquantacinque anni di carriera festeggiati nel 2018 con tre concerti-evento a Rimini, un lungo tour estivo e il doppio album celebrativo Nomadi 55. Per tutta la vita che raccoglie in una nuova veste i brani più significativi della loro storia, per la band di Beppe Carletti sembra che il tempo non passi mai, in barba agli anni, alle mode e agli inevitabili cambi di formazione che hanno portato sul palco un nuovo cantate, l’emiliano Yuri Cilloni. Ed è proprio con il nuovo vocalist che nella primavera 2017 i Nomadi hanno piazzato l’ennesima zampata vincente, incidendo quello che ad oggi risulta essere il loro album di inediti più recente, un disco godibilissimo e fatto esattamente alla loro maniera, intitolato in maniera molto emblematica ed esplicita Nomadi Dentro. Un titolo identificativo che già da solo dice molto, come era già successo con alcuni lavori del passato (Sempre Nomadi, Ancora Nomadi, Solo Nomadi…) e che nel 2017 aiuta a fare il punto sulla carriera ultra cinquantennale del gruppo più longevo della musica italiana, capace di sfornare ancora una volta un disco di inediti attento ai temi più attuali e contemporanei: quando su dieci brani almeno cinque o sei sono sopra la media che è lecito aspettarsi da una band con una storia così importante, significa che il disco è più che riuscito, fatto perché si aveva la necessità di dire o raccontare qualcosa e non solo per esigenze discografiche o di contratto.
Nomadi Dentro è la perfetta fotografia dei Nomadi versione 2017, che suona esattamente come ci si aspetterebbe da un disco dei Nomadi e che affronta le tematiche che è giusto attendersi da un gruppo sempre pronto a parlare di argomenti legati all’attualità; nulla di nuovo quindi a livello sonoro e compositivo, nessuno stravolgimento negli arrangiamenti, ma piuttosto una precisa volontà di riaffermare il proprio sound e il proprio modo di intendere e concepire l’arte della forma canzone. Il nuovo album della band che fu di Augusto Daolio è composto da dieci brani inediti, canzoni in pieno stile Nomadi, ben scritte (tra gli autori ricompaiono dopo anni due firme eccellenti come Francesco Guccini e Alberto Salerno), eseguite da ottimi musicisti – Beppe Carletti, Daniele Campani, Cico Falzone, Massimo Vecchi e Sergio Reggioli – che suonano insieme ormai da parecchi decenni, ai quali si è aggiunto da poco Yuri Cilloni, nuova voce qui alle prese con la sua prima esperienza in sala di registrazione.
Il disco si apre con il singolo Decadanza, un brano che punta l’indice sui mali del nostro tempo e le storture della società moderna (“Abbiamo lacrime che durano lo spazio di un minuto per commuoverci a comando alla tv… abbiamo guerre preventive che bisognerà inventare, per costruir la pace bisogna bombardare… hanno provato a far passare per utile la guerra mascherandola da ragion di stato… e ogni sera ci laviamo queste mani insanguinate per andare a dormire più sereni…”), pur non perdendo il gusto dell’ironia e della speranza cantata nel ritornello, che nonostante tutto servono per continuare a guardare avanti: “Non vi preoccupate, tornerà l’estate, non vi preoccupate torneremo al mare…”. Terra di nessuno, scritta da Alberto Salerno che per i Nomadi aveva già composto la storica Io vagabondo, affronta le difficoltà del vivere quotidiano, delle speranze e delle illusioni che spesso si scontrano con la realtà dei fatti; ma nonostante tutto il protagonista afferma la sua capacità di resistenza, con un concetto allargabile e leggibile anche dal punto di vista degli stessi Nomadi: “Ma siamo ancora qui, siamo ancora noi quelli dentro un film, ma siamo ancora qui, siamo ancora noi come degli eroi…”. Atmosfere più dolci e romantiche avvolgono la successiva Ti porto a vivere, arrangiata in stile anni ’70 con archi e tastiere a sostenere il cantato di Yuri, per una canzone che parla della bellezza e dell’importanza del viaggio, inteso sia a livello fisico che spirituale o mentale: “Cade il sole a picco sulla strada, è un invito a non restare, perché il viaggio parte sempre dalla testa quando inizi a immaginare, srotoli chilometri di cielo per un posto che non sai, ma che hai immaginato mille volte dove non sei stato mai…”.
Dopo quasi 50 anni dai primi e indimenticabili successi come Dio è morto o Noi non ci saremo, la penna di Francesco Guccini è tornata a scrivere per i Nomadi: quello che per la musica italiana è stato uno dei sodalizi più importanti e una delle collaborazioni più significative di sempre, torna nel brano Nomadi, che il cantautore di Pàvana ha scritto nel 2013 in occasione del cinquantennale del gruppo; un testo che guarda alla storia dei Nomadi e alle loro qualità con un occhio rivolto più al futuro che al passato: “Siamo noi assetati di vita, siamo noi passeggeri del tempo… siamo noi, viviamo ogni momento lungo le strade di sogni, parole e emozioni… siamo noi occhi accesi sul mondo, siamo noi spirito vagabondo, siamo noi con i segni del tempo, ma con voce sincera, gente senza frontiera…”. Può succedere ha un andamento più deciso, a tratti rockeggiante e parla della possibilità che tutto possa cambiare, purché invece di apparire sempre come ci vorrebbero iniziassimo a essere quel che siamo per sentirci veramente liberi: “Corri oltre le parole, butta giù le tue barriere e può succedere… che tutto cambia e tutto cambierà, l’amore fa rumore e disarma il mondo quando tu non puoi difenderti, siamo nati liberi…”. L’ironia e il folk sono invece alla base de L’Europa, brano che racconta dell’Europa unita che doveva essere nelle intenzioni originarie e che invece non è stata; un brano musicalmente leggero ma attualissimo, visto che l’Europa dei popoli è la stessa che oggi chiude le frontiere ai tanti profughi in cammino, che si impunta sulla burocrazia e vive di slogan vuoti di significato: “L’Europa, l’Europa è una cosa seria, l’Europa, l’Europa è una polveriera, dodici stelle e una bandiera… L’Europa, l’Europa ha una grande storia, l’Europa poca memoria… l’Europa è l’America un po’ speciale, è Atene in un letto d’ospedale, è Brexit, è crucca, è italiana, a Bruxelles un giorno a settimana…”. Con gli occhi di chi è un altro ottimo pezzo, nel quale si ribadisce l’esistenza di due lati contrapposti in ognuno di noi, spesso in contrasto fra di loro: da una parte il lato più arrendevole e dall’altro quello che non smette di crederci nonostante tutto, la vita vista in bianco e nero contrapposta a quella di chi la guarda con occhi pieni di colore e sogna di andarsene via: “Mi hai detto davvero io non ci resto qui, tra chi piange e chi prega e chi ha sputato sui sogni, credi che sia giusto cedere a sta noia di vita, d’accordo ragazzo mio, io crescerò con te…”. Atmosfere spagnoleggianti fanno da sfondo a Calimocho, storia di passione notturna in cui amori, errori ed esperienze di vita si mescolano come dentro a un bicchiere dell’omonima bevanda a base di cola e vino rosso: “Il rosso versa calimocho e io lentamente mi compiaccio di questo vivere felice come un’araba fenice dalla cenere che fu… a poco a poco vado avanti, dentro il vociare dei passanti, dentro alle bocche degli amanti che si scambiano parole che non torneranno più…”; senza dubbio è il brano più lontano dallo stile dei Nomadi, un esperimento musicale nel quale emerge tutta l’abilità chitarristica di Cico Falzone.
Con le ultime due tracce dell’album arrivano quelle che sono senza dubbio le due migliori canzoni di questo Nomadi Dentro: l’unico pezzo interamente cantato dal bassista Massimo Vecchi si intitola Io sarò ed è una splendida canzone d’amore che, come spesso accade ai Nomadi, non scade nella banalità o nella retorica tipica di questo genere di brani; il brano non racconta le dinamiche quotidiane di un sentimento, ma si eleva più in alto, auspicando e invocando una dimensione più nobile dell’amore: “Non sarò il difetto che correggerai, non sarò quel sogno che non sognerai… Io sarò di più, io sarò i tuoi giorni, io sarò il tuo abbraccio quando fuori è tardi, io sarò il tuo sguardo sopra l’orizzonte, io sarò il respiro sopra questa gente…”. Musicalmente ha un impianto molto “nomade”, con qualche richiamo a La canzone popolare di Fossati e a certe atmosfere dei Gang di Una volta per sempre… dunque si viaggia a livelli molto alti! E sempre a grandi livelli resta Io ci credo ancora, brano conclusivo dell’album, senza dubbio l’esempio più lampante dello stile e della cifra stilistica espressa negli ultimi anni dai Nomadi: una ballatona ricca di chitarre e tastiere, con il violino di Sergio Reggioli a impreziosire la trama e un testo che riflette tutta la speranza necessaria per guardare avanti, un’iniezione di fiducia indispensabile per sopravvivere a questi tempi malati e a tutte le storture di un mondo che appare ogni giorno più impazzito: “Io ci credo ancora in una vita senza affanni dove poter vivere i miei amori, dove poter ridere dei miei anni… io ci credo ancora in un mondo senza porte, dove la paura non mi spaventa e non mi spaventa la sorte… ridere di gioia per un capriccio e poi fare l’amore nascosti al mondo, fermarsi ad ascoltare il suono di un abbraccio, siamo nati per questo… io ci credo ancora…”.
Nomadi Dentro è un ottimo disco, con canzoni ben scritte e ben suonate, che non modifica nulla nella sostanza di una carriera ormai infinita come quella dei Nomadi; nessuna rivoluzione o cambiamento radicale rispetto a quanto fatto fin qui da Carletti e soci, ma piuttosto la conferma di un ritrovato affiatamento e amalgama all’interno del gruppo, capace di tornare sulle scene all’alba dei 55 anni di carriera con un album che rispecchia al meglio il loro carattere e la loro voglia di fare musica, grazie anche a canzoni che sanno trasmettere sempre dei valori e dei contenuti mai banali.
Matteo Manente