BESANA BRIANZA – Il terremoto in Centro Italia. Un viaggio a piedi lungo la linea di faglia. L’arrivo a Norcia e, tra le rovine, una statua rimasta intatta, proprio al centro della piazza. È il santo originario di questa città umbra, il fondatore di un nuovo ordine, colui che ha unito il lavoro alla preghiera e che è, dal ’64, patrono d’Europa: San Benedetto. È lì, ancora in piedi dinanzi alla “sua” Basilica sventrata, portatore, forse, di un messaggio da interpretare. A chiederselo è il giornalista e scrittore Paolo Rumiz durante il suo viaggio attraverso le terre colpite dal terremoto. «Cosa poteva significare? Forse quel santo mi stava dicendo che ci troviamo dinanzi alle macerie dell’Europa? Oppure che, nonostante le rovine, lui, simbolo dell’Europa, è rimasto in piedi?», ha infatti ribadito lo scrittore triestino nel corso dell’incontro che sabato 23 marzo l’ha visto presentare a Besana Brianza, nell’ambito di iterfestival (qui maggiori informazioni sul festival letterario del Consorzio Villa Greppi, con direzione artistica di Lo Sciame Libri), il suo libro fresco di stampa, Il filo infinito.
In un’Europa che fa oggi i conti con il ritorno di egoismi nazionali, il messaggio inviato è un presagio di sventura o, all’opposto, un invito a sperare? Da qui, da questa domanda, si apre un percorso che Paolo Rumiz intraprende innanzitutto dentro di sé: laico, eccolo riflettere sul senso di quel fatto, approfondire la figura di San Benedetto, appassionarsi a un ordine, quello benedettino, che alla caduta dell’impero romano, dinanzi allo sfaldarsi di un mondo, ha saputo salvare l’Europa, piantare i semi della ricostruzione, sopravvivere alla violenza, alle invasioni, alle guerre, alla bancarotta economica.
E il nuovo libro di Rumiz è un viaggio alla scoperta proprio dei monasteri disseminati in questo nostro, vecchio, Continente: dall’Atlantico fino alle sponde del Danubio, ecco le abbazie costruite dai discepoli di Benedetto da Norcia, luoghi più forti delle invasioni e delle guerre. Un insegnamento per tutti noi, una presa di coscienza che «è dalla disperazione, dalla disgregazione – spiega lo scrittore durante l’incontro – che il sogno d’Europa si fa più forte», ieri come oggi. Un’Europa che è sempre stata spazio di migrazioni e «il cui destino è quello di accogliere, di essere capolinea di popoli che non possono andare oltre perché c’è l’Oceano». Un’Europa, ancora, che non deve chiudersi all’altro, perché «quando ha alzato reticolati o muri, si è suicidata».
I Benedettini, il loro pregare e lavorare, la capacità di tessere legami con il territorio, di cristianizzare e rendere europei gli invasori, semplicemente con la forza dell’esempio. È lì che dovremmo guardare, allora: «un pilastro della nostra identità, sicuramente spiazzante per me che non sono religioso – aggiunge – ma da riscoprire», perché fondamentale spinta, forse anche grazie a un carattere forgiato dall’identità sismica della terra umbra che ne è origine, per la ricostruzione dell’Europa.
E così viaggiamo, di pagina in pagina, alla scoperta di abbazie e personaggi che le abitano, di una “regola” rimasta intatta, di luoghi di fascino in cui è difficile distinguere l’opera della natura e quella dell’uomo. Un viaggio lento, come precisa lo scrittore: fatto di deviazioni che sorprendono, di persone, di incontri che lasciano il segno. Come quello, per citarne uno, con Frédéric, anziano monaco dell’abbazia cistercense di Cîteaux: lì, in un sotterraneo ben nascosto, appare allo scrittore quasi fosse una scena narrata da Umberto Eco. Incappucciato, «viaggia felice con le dita sulla tastiera di un vecchio pianoforte lievemente scordato», infrange l’obbligo del silenzio a suon di Bach.
Valentina Sala
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