«Trovammo Italo nel giugno del 1957. Era un tempo meraviglioso. La guerra era finita da più di dieci anni e io non l’avevo conosciuta»
Sospeso tra realtà e incanto, il nuovo romanzo di Carola Susani si intitola La prima vita di Italo Orlando (minimum fax) e racconta il dopoguerra in Sicilia attraverso un personaggio dai tratti magici.
«Gli si sollevava il petto, giallastro come un pollo senza piume; non aveva niente addosso. Tutt’attorno, l’erba era rinsecchita, di un colore grigio, marrone sulle punte». Piombato a Sette Cannelle una mattina d’estate, il personaggio di Italo porta un’aria di novità nella masseria e in paese, a Casteldorto: dall’aspetto rassicurante («gradevole alla vista, ben fatto, aveva un sorriso gentile») e insieme misterioso («il suo incarnato di un giallo dolce, uguale al colore dei capelli, uguale al colore dell’iride»), Italo trasfigura la realtà e conferisce agli oggetti che lo circondano i suoi stessi contorni sfumati. I campi, le strade del paese, la discesa verso il mare, i mandorli all’improvviso non sono più gli stessi.
È il mistero dell’origine di Italo, del suo aspetto e delle sue abilità straordinarie a dare avvio al romanzo, una storia raccontata come un ricordo da Irene, la voce narrante, che nell’oggi rievoca il suo passato da tredicenne, rivolgendosi direttamente ai lettori.
Affidata alla memoria della narratrice, la storia ha dei punti ciechi e spesso Irene immagina di ricordare: «Dovevano essere rumorosi, ma io di quella sera non ricordo un suono, ricordo suppergiù tutto, ma nel silenzio». Vivide, però, sono le sensazioni che Irene ha quando guarda Italo e quando lo rincontra dopo che è scomparso: «Mi monta un sorriso dall’interno, un calore che viene su dai piedi, sale e si diffonde». Attraverso gli occhi della narratrice, il lettore rivive l’arrivo di Italo e ne subisce il fascino misterioso e magnetico. È come se avessimo la Irene di oggi seduta accanto, a raccontarci la sua versione della storia. Lo stile stesso rispecchia l’andamento del ricordo, pieno di incisive e di annotazioni narrative tra parentesi.
La nonna, Nicola Mangiarracina, Maria, Fiore, Ciccio Miraglia, la bella Margherita, questi sono solo alcuni dei personaggi che popolano il romanzo e che ruotano attorno a Sette Cannelle, a Irene e al suo rapporto col padre, viscerale e centrale per lei, nella vicenda e nel ricordo.
Onirico e visionario, il romanzo prenderebbe il volo e si alzerebbe nell’immaginazione, se non avesse i tiranti della Storia a trattenerlo: alla fine degli anni Cinquanta, la Sicilia si sta lasciando alle spalle il male della guerra e sta tornando alla rigogliosa natura. Ruvida e silenziosa («lei era un rudere»), la nonna di Irene rappresenta la naturalità della vita: fedele alla sua terra, passa le giornate all’aperto, a penzoloni sull’amaca, guardando i mandorli che si preparano a dare frutto. Con Italo, la nonna è ostile, lo considera un demone e forse lo teme. Nello sviluppo della storia, però, è come se tra Italo e la nonna si stabilisse una comunanza: sembra nascere tra loro una particolare storia d’amore. Italo è il progresso che si oppone alla natura, per questo la nonna lo tiene lontano. A Sette Cannelle, il progresso arriva con lui, che scaccia le cornacchie, trova antichi tesori, porta la luce elettrica, fa sgorgare l’acqua da fonti assopite. Trova il petrolio nel sottosuolo.
Nulla, dopo la scomparsa di Italo che se ne va come un fantasma, che si dissolve come fosse stato il prodotto dell’immaginazione fervida di una tredicenne, sarà più lo stesso, né a Sette Cannelle né nella vita di Irene. Come una promessa però, alla fine la narratrice confida ai lettori: «mi sono convinta che Italo riapparirà, non so dove, se là dove lo lasciammo l’altra volta o in un altro posto, magari qui in mezzo alla gente, o a Firenze».
Claudia Farina