di Giuseppe Leone
OLGINATE – Ama definirsi cinefilo–filmeur Michelangelo Buffa, intervistato da Ilaria Pezone e Dario Agazzi, al termine della prima proiezione in pubblico del suo video Capodanno al Samara 2, nella sala della conchiglia dell’ex convento di Santa Maria la Vite a Olginate, la sera del 31 agosto scorso, alle ore 21. Lo fa con naturalezza e semplicità, parlando di questo suo film, secondo “tassello” di una trilogia che ha come tema l’amore a pagamento: quello di un “un professore, amico di vecchia data del filmeur, che racconta quasi in forma d’autoanalisi il suo approccio a questo mondo nascosto allo sguardo della nostra società grigia e benpensante”.
Un modo di fare film, questo di Buffa, che, attivo dagli anni Sessanta, ha preservato una dimensione amatoriale operando in piena libertà e in maniera autodidatta, realizzando da allora film in 8mm, Super8 e 16mm, ora anche in video, prima in analogico e poi in digitale, allo scopo di legare il documentario antropologico e il video di ricerca ad esperienze più intime e personali.
Tant’è che lui, filmeur, non ricorre mai a una narrazione di tipo tradizionale con copioni o semplici dialoghi fra un tu e un io; il suo obiettivo è altro, perché, secondo lui, «le parole tolgono senso e danno significato, impoveriscono». Per dirla alla Carmelo Bene, egli toglie di scena il copione, sostituendolo con un percorso che si attiene a dieci proposizioni, tra cui le tesi che le immagini sono materia e non vivono mai di sola trasparenza; che lui filma in qualsiasi momento l’animo lo richiede; che la musica, come la parola, va misurata poiché condiziona il senso delle immagini; che non ci sono regole a cui attenersi se non per trasgredirle con cognizione di causa. Ne è convinto anche Agazzi, aggiungendo che Buffa «filma ciò che il suo personaggio ha scritto; filma il linguaggio del suo personaggio e il personaggio stesso diviene – interamente – linguaggio, così come il filmeur medesimo».
Un cinefilo, un filmeur, insomma, che rifonda e attualizza, oltre che «il concetto di macchina – cinema commerciale concettuale che sia, fuori da ogni forma di capitale», anche il momento della ripresa, sganciato spesso da un progetto filmico preciso, (che) si concretizza in una creazione di inquadrature in libertà, emotivamente agganciate al momento presente.
Il film, per lui, non è mai un prodotto finito, è solo un frammento di un racconto che dura tutta la vita. Tanto che Buffa può concludere l’intervista, dicendo che la sua impressione generale è quella di fare e avere fatto un solo grande videofilm che apparentemente si può presentare come un insieme di video o di film a tema, ma che comunque fa parte di un suo percorso e una sua ricerca sia filmica sia esistenziale.
E questo l’hanno capito bene anche gli spettatori presenti se tra essi non è mancato chi ha sostenuto, alla fine, d’avere apprezzato l’arte di un filmeur tanto abile a cercare ciò che si nasconde dietro l’apparenza della realtà quanto capace di far rivivere le immagini, anche quelle d’archivio, grazie al suo sistema di linguaggio analogico che ha un valore e una funzione simbolica.
Giuseppe Leone