Non fatevi ingannare dal nome: in Turbo Cucumer, il nuovissimo album dei brianzoli Genesian Folks in uscita il 2 maggio nei principali store digitali, di folk inteso come genere musicale non c’è assolutamente nulla o quasi! Già dalla prima delle dieci tracce che compongono il disco ciò che balza all’occhio e soprattutto all’orecchio è un suono prettamente rock, con chitarre, basso e batteria ben in evidenza, a cui si aggiunge il violino a ricamare e sostenere le melodie e le parole dei testi. Dieci brani nuovi di pacca, freschi e potenti, scritti come di consueto in dialetto brianzolo dal leader del gruppo Alo Brambilla e arrangiati in studio dalla band, ovvero Stefano Agostoni (basso), Sergio Arioli (batteria), Matteo De Capitani (chitarra) e Cesare Canepari (violino).
Rispetto al primo capitolo discografico della band, intitolato Sarem mia tocc matt e pubblicato nel 2015, Turbo Cucumer si differenzia parecchio sia nel sound complessivo, sia in alcune tematiche trattate nelle canzoni: abbandonato il folk ruspante e agricolo del primo disco, le nuove tracce – registrate e mixate professionalmente da Matteo Tovaglieri tra lo Spazio Tribù di Cantù e gli Abbey Studios di Hoè – strizzano più di un occhio a un sapiente mix di rock, punk e pop, senza naturalmente tralasciare la peculiarità dei testi in rigoroso dialetto brianzolo, da sempre cifra stilistica dei Genesian Folks.
Se il secondo disco è sempre più difficile del primo e in questo caso nelle sonorità si discosta pure di parecchio da quanto sentito fino ad ora, è altrettanto vero che Turbo Cucumer esalta già dal primo ascolto la crescita musicale di un collettivo amalgamatosi senza dubbio on stage durante i numerosi concerti tenuti nell’ultimo anno; e lì, a livello di attitudine folk intesa come anima popolare, i Genesian ne hanno sempre avuta, complice la vena creativa e i testi in dialetto del vocalist Alo Brambilla: i loro concerti hanno sempre puntato al coinvolgimento del pubblico grazie a canzoni allegre e piacevoli, che raccontano diversi aspetti di vita quotidiana, “episodi di vita rurale, discorsi da bar, problemi agricoli, complotti mondiali” come dicono loro stessi, senza tuttavia dimenticare di dare uno sguardo critico a quel che succede nel mondo.
In questo senso, e veniamo al nuovo Turbo Cucumer, vale l’esempio del primo singolo lanciato dal gruppo, intitolato non senza troppi fronzoli Missione di pace: chitarre potenti e un arrangiamento aggressivo per un testo che sebbene in dialetto pone l’accento tra ironia e sarcasmo sui tanti inganni globali e il rischio nemmeno troppo campato in aria dello scoppio dell’ennesima guerra mascherata da missione di pace: “Missione di pace per riportare ordine alla tua maniera, ma sotto si muovono i padroni della terra… E in nome della democrazia ammazzano la gente che non c’entra niente, in nome della democrazia veniamo a far la guerra anche a casa tua…”.
Ponte di collegamento fra le avventure del primo lavoro del gruppo nato alle pendici del Monte San Genesio e le storie raccontante in questo secondo album è l’opening track Bes galet, canzone che racconta la leggenda del serpente con la cresta che semina paura e terrore fra le popolazioni di Campsirago e buona parta della Brianza, un biscione che è meglio non fissare negli occhi perché ipnotizza e paralizza chi lo guarda: “Questa è la ballata del Bes Galet, basta non girarsi e portargli rispetto, corri corri via ma attento se salta, attento a non girarti, corri corri via ma attento se salta, attento ti morde…”.
La titletrack Turbo cucumer pone invece l’accento su un tema attualissimo come quello dello sfruttamento della terra e dell’agricoltura intensiva contrapposta a quella naturale, che in nome del profitto e del denaro produce frutti sballati come il “turbo cetriolo”, zucchine di mezzo metro, fragole grandi come meloni e altre diavolerie: “Turbo cetriolo, urla a squarciagola la terra avvelenata, chissà chi la paga. Agricoltura intensiva per non fallire, la Terra avvelenata si ribella, ma si riempiono di soldi le tasche…”, ammoniscono i Genesian Folks.
Sempre sul filone dell’impegno e degli argomenti seri, trattati e filtrati comunque in maniera ironica e mai pesante, ecco Cuntrulur del munt; si tratta di un canto di ribellione all’ordine costituito, che contrappone la rabbia montante della gente comune ai soliti noti che detengono e amministrano il potere a loro piacimento, con un ammonimento finale tanto semplice quanto evidente: “se il popolo si svegliasse, finiremmo di fare i padroni, premi bene sul coperchio che sta uscendo tutto…”.
Volontà di mettere alla berlina tic e comportamenti del brianzolo medio scandiscono la danzerina Caraibi ‘n sogn: di fronte al duro lavoro, allo stress continuo e al correre frenetico di tutti i giorni, chi non vorrebbe mollare tutto e scappare ai Caraibi, magari accompagnato da una dolce melodia in cui il violino culla l’ideale anelito di fuga? “Sono stufo di questa Brianza che se non sei al lavoro hai in mano la ranza, ho voglia di andare ai Caraibi sotto una palma a prendere il sole in costume…”.
Atmosfere da bar e episodi di vita paesana fanno ancora capolino in due brani, Adess e Ul to calvari; la prima è una canzone nata dall’unione senza troppe premure di svariati detti popolari non sempre traducibili (“Quando il sole tramonta l’asino si impunta… Per mangiare si mangia, è a lavorare che si borbotta… ogni melone ha la sua stagione…” e via dicendo), mentre la seconda è la classica fotografia di chi, prigioniero dell’alcol, vede i bar come stazioni di una personale via crucis della quale però non riesce fare a meno: “Il dio dell’alcol s’è impossessato di te, il dio dell’alcol sarà il tuo demonio? Il dio dell’alcol è diventato il tuo calvario… so già che domani si ripresenteranno i pensieri, ma adesso li tengo a bada con un altro bicchiere…”.
Dedicate in qualche modo al potere salvifico della musica per chi cerca di farla sempre con passione, ecco altre due canzoni ben riuscite: Amis amis – fotografia e biglietto da visita del gruppo, in cui vengono citati uno per uno tutti i membri della band e si ribadisce l’importanza di fare musica con passione, per “portare nei locali della Brianza un po’ di sana ignoranza” – e Musica sudur de l’onima, in cui emergono i sogni, i desideri e le emozioni più genuine legate alla volontà di fare musica: “La musica è un’emozione che non vuole padroni… La passione diventa illusione, il sudore dell’anima diventa emozione, nella prossima vita scriverò anch’io una canzone…”.
Completa e conclude il disco Quonti prumess, una ballata struggente e straziante che racconta di amori finiti e chiude l’album su note più tranquille e malinconiche: “Quante promesse mai mantenute, quante promesse, quante volte mi hai preso per il culo? Soffro come un cane bastonato, non so se ho sbagliato, ma ho sempre ragionato col cuore, sei diventata di ghiaccio…”.
Turbo Cucumer è senza dubbio un disco sincero e sentito, ottimamente suonato e prodotto, che segna un evidente salto di qualità nella scrittura e soprattutto nell’arrangiamento dei pezzi da parte dei Genesian Folks; un disco che parla di problemi e più in generale di tanti aspetti del vivere quotidiano in modo diretto e ironico, scanzonato e a volte sarcastico, sfruttando saggiamente le mille sfaccettature che il dialetto brianzolo – come tutti gli idiomi locali prestati ormai da anni alla forma canzone – sa offrire per dipingere al meglio usi, costumi, tradizioni e modi di fare delle persone che come noi vivono e abitano la nostra quotidianità.
Matteo Manente