Nonostante siano già passati alcuni giorni dall’inizio del 2018, l’anno cinematografico appena trascorso è ancora ben impresso nelle menti e nei cuori di tutti i cinefili. Il 2017 si è distinto per una serie di titoli di ottimo livello e in questa classifica vi raccontiamo brevemente le dieci pellicole forse più significative dell’anno appena trascorso. Una top 10 che tiene conto dei film usciti nelle sale italiane nell’anno solare 2017 e, come per ogni classifica, molte valide pellicole sono rimaste escluse da questa panoramica sul cinema degli ultimi dodici mesi. Ecco di seguito la nostra top 10.
10 – ELLE di Paul Verhoeven
Un’algida donna in carriera, Michelle (Isabelle Huppert), CEO di una società videoludica, subisce nella sua abitazione una violenza sessuale e, quando l’assalitore torna per la seconda volta, durante una colluttazione riesce a scoprire la sua identità. Da quel momento la situazione cambia completamente e alle persecuzioni dell’individuo Michelle inizia a rispondere con la stessa moneta. Il regista olandese Paul Verhoeven confeziona un affascinante e caustico mix fra thriller e commedia grottesca, meravigliosamente interpretato da una sublime Isabelle Huppert, giustamente premiata con l’Oscar quale miglior attrice protagonista.
Cinema viscerale, duale e cinico, capace di uno sguardo distaccato ma anche di intermezzi ironici di notevole spessore. Spiazzante.
9 – COCO di Lee Unkrich e Adrian Molina
Il giovane Miguel, ragazzino messicano con la passione per la musica, sogna di diventare un giorno un musicista di successo come il suo idolo, il defunto Ernesto de la Cruz. Peccato che nella sua famiglia, i Riveras, la musica sia vietata.
L’ultimo intenso lavoro della Disney/Pixar è un film che pur non raggiungendo le vette geniali di titoli come Up, Wall-E e Inside Out, colpisce per la travolgente e malinconica miscela tra la forza armonica della note e la potenza insieme colorata e lugubre delle immagini e della vita stessa. Una vita divisa fra il legame con le tradizioni e la famiglia e l’ambizione di un futuro pieno di obiettivi e aspirazioni.
Tematiche profonde, in perfetto stile Pixar e un emozionante percorso di crescita accompagnato dalle melodie di Michael Giacchino. Struggente.
8 – LOVELESS di Andrey Zvyagintsev
I coniugi Boris (Alexey Rozin) e Zhenya (Maryana Spivak) sono in procinto di divorziare. Ormai alle prese con vite e partner differenti, Boris e Zhenya sono protagonisti di continue liti e i diverbi scaturiti anche per futili motivi contribuiscono a dividerli sempre di più. In mezzo al caos di un legame finito, a farne le spese è il piccolo Alyosha (Matvey Novikov), figlio dodicenne della (ex) coppia. Dopo aver assistito all’ennesimo litigio tra i genitori, Alyosha scompare nel nulla.
Austero e asettico dramma contemporaneo in grado di raccontare con metaforica perizia lo spaccato sociale della Russia, Loveless colpisce per l’amoralità e la spietatezza con la quale Zvyagintsev racconta la ridondanza di una società contemporanea influenzata e velenosamente filtrata, con il gigantesco e inadeguato territorio russo a fare da cornice che distanzia emozioni e amore. Finale impressionante e magnetica fotografia.
Premiato dalla giuria al Festival di Cannes. Solenne.
7 – L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA di Aki Kaurismäki
Un profugo siriano, Khaled (Sherwan Haji), arriva in Finlandia tramite una nave mercantile ma dopo esser stato accolto in un centro d’accoglienza si vede repentinamente rifiutare la richiesta d’asilo. Costretto alla fuga prima di venire rimpatriato, Khaled si mette alla ricerca della sorella Miriam (Niroz Haji) e s’imbatte nell’ex rappresentante Wikström (Sakari Kuosmanen), che ha aperto uno sgangherato ristorante per tentare di cambiare vita.
Una nuova mirabile parentesi poetica del cineasta finlandese Aki Kaurismäki, che immerge lo spettatore in un cinema che indaga gli strati sociali più sfortunati impregnandolo del suo classico umorismo fin surreale e grottesco. Un film attualissimo e impreziosito dallo stile inconfondibile di uno dei registi più oculati e consapevoli del panorama internazionale. Kaurismäki rilegge ogni volta il presente con lirismo delicato ma estremamente riconoscibile.
Orso d’argento per la miglior regia all’ultima Berlinale. Malinconico.
6 – JACKIE di Pablo Larraín
Il regista cileno Pablo Larraín si conferma uno dei cineasti più interessanti dell’ultimo decennio e dopo aver impressionato critica e pubblico con la cosiddetta Trilogia del Cile – Tony Manero (2008), Post Mortem (2010), No: I giorni dell’arcobaleno (2012) – e aver raggiunto un pubblico ancor più vasto con El Club e Neruda, si concentra sui drammatici quattro giorni vissuti dalla First Lady Jacqueline Kennedy (Natalie Portman), compresi tra l’assassinio di JFK e il suo funerale. Quello di Larraín è biopic che rifugge gli stilemi classici del cinema biografico, e con rispettosa originalità e straziante umanità racconta i tormenti e le contraddizioni, tra attimi di forza e momenti di fragilità, di una moglie e madre. Di una donna. Jackie è una sinfonia equilibrata, un affresco più complesso, introspettivo e caleidoscopico di quel che appare. Superba interpretazione di Natalie Portman, in un ruolo tutt’altro che semplice.
Premio alla miglior sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia 2016. Immenso.
5 – DETROIT di Kathryn Bigelow
Estate 1967. Nella difficile cornice della città di Detroit, nel Michigan, da un raid della polizia in uno dei quartieri neri della città si scatena, per futili motivi, una violenta guerriglia che si protrae dal 23 al 27 luglio e che rimarrà nella storia come la più grande rivolta civile mai vissuta dagli Stati Uniti d’America. Il bilancio è di 43 morti, più di mille feriti e oltre duemila edifici distrutti.
Avvalendosi della sceneggiatura di Mark Boal, Kathryn Bigelow confeziona un lavoro multiforme e potente, ricco di pathos e (quasi) completamente avulso di retorica. Impressionante e inquietante l’affresco d’ingiustizie e di razzismo che la regista premio Oscar per The Hurt Locker riesce a restituire al pubblico con sequenze spaventose e un cast perfetto, nel quale spicca l’interpretazione di Will Poulter.
Un elogio particolare per la mancanza di sensazionalismo che spesso pervade pellicole di questo tipo. Agghiacciante.
4 – BLADE RUNNER 2049 di Denis Villeneuve
Probabilmente il progetto più ambizioso e rischioso degli ultimi anni. Al talentuoso regista canadese Denis Villeneuve (Prisoners, Sicario) vengono affidate da Ridley Scott le chiavi per portare sul grande schermo il seguito di una delle pietre miliari della storia del cinema, Blade Runner. Ambientato a trent’anni di distanza dalle vicende raccontate nel film del 1982, Villeneuve, nonostante qualche pecca in sede di sceneggiatura, vince ampiamente la sfida, rinnovando le fascinose atmosfere del primo film in un’alternanza magnetica fra le umide tenebre e le intermittenti luci al neon. Nella Los Angeles del 2049, in seguito alla chiusura della Tyrell Corporation, i replicanti ancora in circolazione vengono ritirati dalla società. Tra quelli ancora attivi, di ultima generazione, anche l’agente K (Ryan Gosling), che dopo aver scoperto uno sconvolgente segreto si mette alla ricerca dell’ex cacciatore di replicanti, Rick Deckard (Harrison Ford).
Villeneuve attualizza efficacemente un universo ricchissimo di dettagli e complesso nelle dinamiche, senza eccedere in virtuosismi o in manie di protagonismo e creando un impianto visivo dallo straordinario peso immaginifico. Splendida la fotografia di Roger Deakins. Portentoso.
3 – SILENCE di Martin Scorsese
Martin Scorsese concretizza un progetto che affonda le sue radici più di vent’anni fa, adattando il romanzo di Shūsaku Endō, Silenzio. Nel Giappone della prima metà del XVII secolo due padri gesuiti, Sebastião Rodrigues (Andrew Garfield) e Francisco Garupe (Adam Driver), partono alla ricerca del loro mentore scomparso in terra nipponica, Cristóvão Ferreira (Liam Neeson), che si dice sia stato costretto a rinnegare la propria fede dallo spietato Inoue (Issei Ogata).
Scorsese si rapporta con sorprendente lucidità a una tematica corposa, universale, stimolante, nella ricerca di una risposta a quesiti eternamente irrisolti e allo stesso tempo centrali nella storia dell’umanità. Il film è un’opera densa e finanche straziante, di struggente carnalità, legata a doppio filo ad una spiritualità mai posta a vessillo ideologico della fede, come spesso accade. Tutt’al più Silence è ascrivibile a un calibrato sguardo laico, eppur rispettoso della sacralità dell’argomento. Uno sguardo sul mistero di una religiosità incrollabile e contrapposta all’umanità degli esseri viventi. Ai dubbi costanti e dolorosi di fronte al silenzio eterno di Dio. Profondo.
2 – LA LA LAND di Damien Chazelle
La colonna sonora e il simbolo del 2017 cinematografico è appannaggio di La La Land, una delle esperienze più intense, emozionanti, gioiose e malinconiche degli ultimi decenni sul grande schermo. Un omaggio affascinante e travolgente all’arte e alla vita, ispirato alle variopinte opere color pastello di Jacques Demy e all’età d’oro del musical. La La Land è playlist musicale sgargiante, intensa e metacinematografica sull’amore, l’ambizione, i sogni e le speranze. Sogni incarnati perfettamente dai protagonisti, Mia (Emma Stone) e Sebastian (Ryan Gosling), attori principali di un’opera ricolma di magia e cruda realtà. Lei lavora in un bar degli studios Warner Bros. con l’obiettivo di diventare un’attrice. Lui cerca in tutti i modi di sfondare come pianista jazz. Il loro scontro si trasforma in un incontro, così come la conoscenza in amore e condivisione. Di desideri, paure. Di realtà. Di vita scandita per stagioni. Fluido, vivo, lucido ed emozionante, il film di Chazelle è un’opera che mostra l’imperfezione e l’incanto della vita, di un ballo al chiaro di luna, di una cena al lume di candela. Straordinario il finale, destinato a rimanere negli annali del grande schermo come uno dei più romantici e dolceamari della storia del cinema. Sei Oscar vinti sul record condiviso di quattordici nomination. Per folli e sognatori.
1 – DUNKIRK di Christopher Nolan
Se l’opera di Damien Chazelle rilegge in termini contemporanei la musicalità nell’arte e nel cinema, Christopher Nolan con Dunkirk propone un’esperienza altrettanto immersiva attraverso codici e generi completamente differenti, narrando le vicende attorno all’Operazione Dynamo durante la Seconda Guerra Mondiale, sulle coste francesi di Dunkerque. Una narrazione che non si ferma alla mera cronaca, ma si espande in un’opera di straordinaria resa cinematografica. Il film di Nolan è in grado di amalgamare il suono, le immagini e le interpretazioni degli attori attraverso tre piani narrativi che rapiscono lo sguardo e il cuore, in cui la parola e le battute risultano quasi superflue, e dove gli stilemi del cinema bellico vengono rinnovati con incredibile maestria. Impressionante il lavoro del comparto sonoro, vero e proprio attore protagonista, in grado di rendere praticamente superfluo l’uso della parola senza perdere nemmeno un decibel di tensione.
Completamente differente da qualsiasi film di guerra mai realizzato in precedenza, Dunkirk colpisce per la sua capacità di trasmettere il dramma, la paura e la tensione dei personaggi, andando oltre all’impressionante valenza tecnica e visiva del film. Si tratta, al momento, della magnum opus del cineasta britannico, di un altro valido tassello all’interno della sua elaborazione del concetto di tempo. Christopher Nolan, al netto dei suoi detrattori, valorizza egregiamente in quasi tutti i suoi film l’ambizione di un cinema sfrontato ma denso di significati e dettagli. Monumentale.
Davide Sica