#IViaggiDelFlâneur – Bucarest, la città dei contrasti. Una bellezza non convenzionale e in cui tutto racconta

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I cartelli stradali ci confondono: blu scuro, bordino verde, una lingua familiare, latina. E i palazzi ottocenteschi, simbolo di grandeur, bellissimi e maestosi. Pare di respirare cultura, come fossimo nella città che è stata centro del mondo tante volte, incredibile calamita per artisti, scrittori, pensatori. E poi ecco un monumento enorme, tra i più grandi del pianeta, mostruoso e insieme interessante, testimonianza di un periodo buio, retorica tangibile. È lui, insieme ai segni evidenti del socialismo, a ricondurci dove siamo.

Bucarest è incredibile ossimoro, mix di bellezza e austerità, di inevitabile, anche se non voluta, memoria e di fiducia nel futuro. Una capitale europea, dove tutto puoi trovare e dove gli stili si mescolano, dove il desiderio di sottolineare la cultura latina di origine incontra la crudezza della Storia. Alcuni scorci sono la voluta copia di Parigi, perché la Romania, questo il messaggio, è terra latina tra slavi. Piccola Parigi o Parigi dei Balcani, così la chiamavano prima del Comunismo e davvero ne capiamo la ragione: maestosi palazzi del XIX secolo, passages e ampi viali ci portano per qualche istante sempre lì, nella capitale di Francia.

E poi i quartieri cancellati da Ceaușescu per lasciare posto allo smisurato Palazzo del Parlamento (già Casa del Popolo) e al Bulevardul Unirii – quest’ultimo una tentata imitazione degli Champs-Élysées – e i grandi blocchi dei palazzoni socialistipiccole città dalle facciate austere, talvolta abbellite, forse questo l’intento, da qualche sprazzo di colore.

Tutto si mischia, a Bucarest, tutto si confonde, e sulle ceneri di ciò che resta del passato si guarda avanti, si accoglie il nuovo credo, il Capitalismo, dedicandogli templi nuovissimi, rampanti centri commerciali di ultima generazione. Si guardano, il Palazzo del Parlamento e il grande shopping center di Piața Unirii: si scrutano attraverso il Bulevardul, si passano l’un l’altro lo scettro. Perché il Socialismo, qui, deve essere soppiantato da altro e relegato a un angolo non troppo felice della memoria di un popolo che sceglie, oggi, di fare propri modelli di vita un tempo di altri.

E in tutto questo la città è viva: il vecchio quartiere di Lipscani, dove nel suo Danubio Claudio Magris racconta di bancarelle che esibiscono pasticcini maleodoranti e reggiseni che sembrano appena usati, è ora, a distanza di quasi trent’anni dal crollo del Comunismo, una moltitudine di ristoranti e locali festanti, un susseguirsi di colori e musica, di bar e movida. Davvero la sensazione è di essere in una qualche località del divertimento italiana o spagnola: è la latinità che si manifesta, la voglia di ribadire, anche in questo, un temperamento e uno stile di vita diverso da quello dei vicini di casa, di essere un’isola nel grande mare slavo.

Visitare Bucarest non significa fare un pellegrinaggio a questo o a quel monumento. Significa, soprattutto, perdersi tra i contrasti, respirare la Storia e le sue contraddizioni. C’è, come detto, il palazzo del Parlamento, talmente enorme da essere per la maggior parte vuoto, ma c’è anche la raccolta, quasi mistica, chiesa Stavropoleos, nel centro storico. C’è Hanul lui Manuc, locanda dal sapore ottomano, e, pochi passi più in là, il busto di Vlad Țepeș, difensore della cristianità contro i turchi, personaggio a cui Bram Stoker si è ispirato per il suo Dracula. C’è il Museo del Villaggio, con riproduzioni a cielo aperto di piccole e tradizionali abitazioni romene, e poi Piața Unirii, circondata da palazzoni. C’è il nome di una via che è omaggio alla libertà – Bulevardul Libertății – e, proprio lì, il Palazzo simbolo dell’oppressione. C’è la Piazza della Rivoluzione, con il palazzo del  Comitato centrale del Partito Comunista, e c’è, ancora, la Piazza dell’Università, dove nell’89 prese il via un’altra rivoluzione, vera o per alcuni guidata, questa volta contro il regime.

Una bellezza, insomma, fuori dai canoni, impossibile da incasellare, definire, giudicare. Perché tutto, qui, si evolve. Tutto convive. Tutto racconta.

Foto @ Il Flâneur (clicca sulle immagini per sfogliare la gallery)

Valentina Sala

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L'autore di questo articolo

Valentina Sala

È la “flâneuse” che non smette mai di flaneggiare (?): in continuo vagabondaggio tra luoghi (certo) e soprattutto nuovi progetti da realizzare, dirige il giornale in modo non proprio autoritario (!). Ideatrice e cofondatrice de Il Flâneur, non si accontenta di un solo lavoro. Giornalista, ufficio stampa culturale, insegnante di Comunicazione, indossa l’uno o l’altro cappello a seconda delle situazioni. Laureata in Editoria con il massimo dei voti, ama approfondire il rapporto tra città e letterati (sua, infatti, la tesi sulla Parigi di Émile Zola e la Vienna di Joseph Roth), i romanzi che raccontano un’epoca, i film di François Truffaut, le grandi città e, naturalmente, il viaggio flaneggiante, specie se a zonzo per le strade d’Europa. Per contattarla: valentina.sala@ilflaneur.com