«L’umanità comincia con un giardino. Ci sono giardini delle letture, i giardini delle cose viste, i giardini dei ricordi, i giardini delle emozioni; ci sono i giardini delle nostalgie e delle meraviglie, i giardini delle cose fatte, i giardini delle amicizie». Uno di quei libri che apri e ti senti a casa. Se dico radici dico storie, di Gian Luca Favetto.
Ognuno di noi ha delle radici. Siamo come alberi: ci esponiamo al presente, ci ergiamo – fieri o timidi – al vento del cambiamento, avendo però sempre un passato che ci radica. Che lo vogliamo oppure no, ciascuno di noi arriva da una storia. Le radici sono storie. Ciascuno ha alle spalle la sua storia, quella dei suoi genitori, dei suoi nonni, dei suoi avi. Le radici rappresentano memoria. Per alcuni, sono orpelli dolorosi che sarebbe meglio recidere con violenza, abbandonare e dimenticare. Ma le radici non si possono estirpare.
E se vedessimo le nostre radici non come affondate nella terra, aggrappate con avidità al nucleo terrestre, confortate e sicure per il buio saldo in cui si trovano, ma, piuttosto, come fili di aquilone che sia allungano nel cielo, sottilissime ragnatele imperlate di sole? Le nostre radici sono fatte per sfilarsi dalla terra, per sollevarsi leggere e incontrare le radici di altri. Proprio come in un grande giardino. Le nostre radici sono aeree, impalpabili. Sono sguardi. Bisogna accogliere le proprie radici e essere predisposti ad accogliere le radici degli altri. Dalle radici, non si scappa: «Viaggiare è fare incontrare radici. Non ti lasci a casa, quando ti metti in viaggio: parti e ti porti con te. Porti le parti che più sono con te».
Questo libro parla di viaggio. È un viaggio nel passato del narratore, all’origine delle sue radici, del suo essere scrittore e viaggiatore; ed è un viaggio dentro la passione per le parole, per la lettura e la scrittura. Tutti siamo viaggiatori. Michael Onfray, nel suo saggio La filosofia del viaggio, scrive che nella natura umana sono iscritte, insieme, le forze oppositive del nomadismo e della stanzialità: ognuno nutre il desiderio di partire e quello di restare. Anche chi ha scelto per la sua vita uno stile nomade, viaggiatore, deve avere un posto in cui tornare: ne ha bisogno. Ogni viaggio, come direbbe Lorenzo Zumbo, autore del libro Il vento contapassi, è di per sé sempre un viaggio di ritorno.
Gian Luca Favetto, che nella sua scrittura è sempre esploratore, vagabondo, antropologo e geografo, in Se dico radici dico storie assimila il viaggio alla vita e alla lingua. Le persone e le parole sono i punti di partenza e i punti di ritorno di questo viaggio letterario e, forse, di tutti i viaggi.
A proposito di patrie, di radicamento: non è tanto questione di geografia, è questione di storie e di persone. È così che formiamo la nostra materia, il nostro territorio, i nostri confini. È questione di memoria e di parole. Leggere è viaggiare, è intreccio di storie, intreccio di radici. Ciò che fa cambiare, in ogni viaggio come in ogni pagina, è l’incontro con l’altro. La terra di cui abbiamo bisogno, scrive l’autore (da scrittore, e da lettore) è la lingua. «Fa sentire a casa. Fa avere una patria: la propria biblioteca, la propria memoria».
È bello pensare che la letteratura sia terra di tutti e di ciascuno, un terreno comune dentro cui viaggiare. In Se dico radici dico storie ogni lettore si innamora. Favetto ha il potere di descrivere, di evocare, di plasmare parole e immagini che allargano sorrisi involontari sui visi di chi è dall’altra parte del libro. Perché, prima di tutto, la lettura è un sentimento d’amore.
Se «conosci il demone della lettura che spinge a muoversi al galoppo fra le pagine, come fossero pianure, lungo le parole, come torrenti impetuosi», ebbene, questo libro è per te e prima o poi lo incontrerai sulla tua strada, nel tuo viaggio.
Claudia Farina