Serena Sinigaglia, sarà lei ad aprire, giovedì 1 settembre, il festival teatrale “L’ultima luna d’estate” e lo farà con “Di a da in con su per tra fra Shakespeare”, uno spettacolo che ormai è diventato un piccolo cult. Ce lo racconta?
Di a da in con su per tra fra Shakespeare nasce come conferenza-spettacolo ma in seguito è diventato un genere spurio. In scena narro la mia storia di odio e di amore con il Bardo e accanto a me ci sono Arianna e Mattia, due attori straordinari che personificano quello che io racconto, dall’incontro con la poesia di Rilke ad altri testi di Shakespeare che non sono solo quelli che ho messo in scena, ovvero Romeo e Giulietta e Il Re Lear. Tutto questo è un pretesto per raccontare la storia di una non-vocazione teatrale, di una giovinezza, di un approccio alle prime esperienze della vita, anche se talvolta romanzate. Shakespeare mi ha dato moltissimo. Mi ha insegnato e arricchito. Mi ha fatto capire quella che ero e che sarei diventata e per me è stato naturale scrivere questo spettacolo.
Shakespeare è l’autore principale della manifestazione di quest’anno. Nella sua carriera c’è un ricordo o un aneddoto legato a una qualche sua opera al quale è affezionata?
Ho tantissimi ricordi che mi legano a Shakespeare. Avevo 22 anni quando ho fatto Romeo e Giulietta ed era la mia prima regia, quindi ho tanti ricordi rocamboleschi, anche perché grazie a quello spettacolo si è fondata la compagnia ATIR. Shakespeare per me è la tragicommedia della vita. E quando hai la fortuna d’incontrarlo nel momento giusto, lo incontri in maniera organica e non scolastica, più libera. Questa è anche l’altra grande ragione per la quale ho cominciato a fare questo lavoro: volevo che si ricordasse che la cultura è vita, come partecipare a un buon pranzo. Oramai viviamo di trasmissioni di cucina e di ricette. Io non credo che di cultura non si mangi come molti dicono. Vivere di cultura, vivere di Shakespeare, è come farsi un’esperienza adrenalinica, una nuotata in un mare splendido, una spaghettata buonissima. È un fatto concreto. Ho avuto il privilegio di mettere in scena questi due spettacoli e spero molto presto di arrivare al mio prossimo Shakespeare. O il Macbeth o l’Amleto, vedremo.
Il festival L’ultima luna d’estate è giunto ormai alla sua diciannovesima edizione. Qual è secondo lei la prerogativa e la caratteristica più importante di questo evento?
La prerogativa di questo festival credo sia un po’ quello che dicevo prima. Fare esperienza di cultura è fare esperienza di vita. Te la può arricchire. Senza nessun intellettualismo. Io credo che la bellezza salverà il mondo: la bellezza nei rapporti, la bellezza nel far durare le cose, come un’opera d’arte bellissima. Queste cose rendono il mondo migliore, più pacifico. E penso che questo festival un po’ nel suo piccolo ci provi.
Si è formata all’Accademia Paolo Grassi anni fa per poi salire su molti palcoscenici, lavorare a tantissime produzioni teatrali. La sua carriera come si è evoluta dal teatro classico a quello di ricerca?
Innanzitutto credo che non esista più la contrapposizione tra classico e contemporaneo. Come d’altronde non so bene cosa sia ricerca e cosa non sia ricerca. Credo che se proprio di binomi si deve parlare, allora bisogna capire se si sta cercando di fare un teatro vivo o un teatro morto. Se l’incontro di quella sera, in uno spazio che è il teatro, sia o meno un incontro vivo. Se accade qualcosa tra le persone riunite o no. Poi che si tratti di un classico o un contemporaneo, se ci siano o meno degli stilemi di una tradizione che non so bene quale sia in realtà, è un altro discorso. I classici, come diceva Calvino, servono a definire te stesso. Io credo che il contemporaneo serva a capire cosa sei rispetto alla tua società, mentre il classico a capire chi sei rispetto a chi ti ha preceduto. Per avere un quadro il più completo possibile abbiamo bisogno sia dei classici che dei contemporanei. Io cerco sempre entrambi nel mio lavoro. Non è che se faccio un contemporaneo cerco di più rispetto a quando metto in scena un classico. Tutto è sempre un tentativo di riportare in vita qualcosa. Si parla di creazione proprio in questo senso: tentare di creare la vita, io parlerei di questo.
Come si preannuncia la sua prossima stagione teatrale?
Farò uno spettacolo con Marina Massironi e Alessandra Faiella, una produzione privata su un testo di Edoardo Erba, e poi andrò a Ginevra a fare un’opera lirica, Giasone, per l’Opera di Ginevra. Oltre alle riprese di Italiani Anni 10, l’ultimo spettacolo della compagnia ATIR, e di Nozze di sangue con lo Stabile di Sardegna, continuerò a insegnare al Piccolo di Milano e alla NABA e sto preparando un grosso progetto che dovrebbe cominciare in primavera, ma per scaramanzia preferisco non parlarne. E, naturalmente, continuerò a dirigere il Teatro Ringhiera, un luogo bellissimo dove si conosce tanta libertà, tanta bellezza ma anche tanta fatica!
Davide Sica