In occasione del festival L’ultima luna d’estate, kermesse di teatro popolare di ricerca promossa da Teatro Invito e dal Consorzio Brianteo Villa Greppi e in programma in Brianza dall’1 all’11 di settembre, abbiamo intervistato Luca Radaelli, attore e regista teatrale, nonché direttore artistico della kermesse dal 1998. Una chiacchierata tra soddisfazioni, obiettivi raggiunti, speranze e propositi per il futuro.
È tutto pronto per la diciannovesima edizione del festival. Può spiegarci qual è la particolarità di questa rassegna teatrale?
L’ultima luna d’estate è un festival italiano storico, situato in un’area collinare brianzola, partito dal Parco di Montevecchia e poi allargatosi in altri comuni. Vengono selezionati luoghi particolari come corti, ville e itinerari nel bosco. Luoghi con caratteristiche peculiari. Si tratta di un Festival che dialoga con il territorio anche grazie ai rapporti con i produttori e gli agriturismi, che vengono coinvolti in una serie di eventi interessanti.
L’edizione alle porte affronta le opere di William Shakespeare. L’approccio è focalizzato sul binomio attore-drammaturgia?
Si, Shakespeare è il tema principale di questa edizione ma c’è anche molto altro. Da Paolini a Cervantes fino a Dino Buzzati, l’obiettivo principale è quello di avere un rapporto drammaturgico inconsueto. Al di là delle nostre produzioni avremo un Enrico V che si occupa di tiro con l’arco, scene accompagnate dalla chitarra elettrica. Abbiamo cercato sequenze che avessero una propria originalità. Come spesso succede in questo tipo di festival, gli spettatori avranno la possibilità di confrontarsi con il teatro popolare di ricerca e con forme drammaturgiche originali.
L’ultima luna dell’estate è un festival che abbraccia ben quindici comuni della Brianza. Quanto è stato importante nel territorio in questi anni, a distanza di quasi vent’anni dalla prima edizione?
Come dicono spesso de La settimana enigmistica, anche nel caso del festival con il tempo sono nate realtà simili, ma che in seguito hanno trovato la loro particolarità, la loro identità. Venti anni fa non esisteva niente del genere e bisognava convivere solo con gli spettacoli all’aperto dei piccoli comuni. La prima edizione durava un giorno e abbracciava tre comuni; ora il Festival è spalmato su più giorni e raggruppa una quindicina di comuni. Siamo cresciuti molto nonostante non ci siano finanziamenti su festival del genere, come avviene invece in regioni storicamente più vocate come l’Emilia, la Toscana o l’Umbria. Ogni anno bisogna tenere sotto controllo i conti per rimanere all’interno del budget prefissato, ma da un certo punto di vista ci va bene così. Anche perché possiamo vantare importanti realtà come lo stesso Paolini o Carrozzeria Orfeo.
Il teatro come forma di aggregazione. Spesso le persone hanno una visione distaccata rispetto al mondo teatrale. Ritiene che simili eventi possano avvicinarle a questa forma d’arte?
Credo di sì. L’esempio di Carrozzeria Orfeo è lampante: un teatro di ricerca che non assume un atteggiamento snobistico come succede per altre compagnie. Li abbiamo ospitati quando non li conosceva ancora nessuno e oggi, proprio come altre realtà che successivamente si sono consolidate, ritornano da noi, anche per un debito di riconoscenza. Io personalmente amo arrivare a ogni tipo di pubblico e mi piacerebbe che tutti andassero a teatro, anche se so che difficilmente si riesce a raggiungere un certo tipo di popolarità.
Lunedì 5 settembre andrà in scena “La tempesta”, spettacolo da lei diretto e opera testamentaria di Shakespeare. Perché ha scelto di rappresentare proprio questa commedia?
Ho un rapporto personale con questo spettacolo sin dai tempi universitari e dalla versione di Strehler. Ho scelto La tempesta perché è un’opera che ha un andamento itinerante e drammatico che si sposa molto bene con il festival, con sei piani di lettura e un fascino registico innegabile. Sono contento di poterlo portare in scena e di far lavorare attori del territorio.
Quali sono le novità che ci riserverà quest’edizione numero diciannove?
La formula sarà la stessa, anche se con una programmazione concentrata all’interno di un periodo più ristretto rispetto allo scorso anno. Abbiamo voluto coinvolgere delle proposte artistiche che rappresentassero un ritorno alle origini nell’utilizzo dei luoghi. In cartellone ci sono anche quattro spettacoli dedicate alle famiglie e ai bambini tra cui lo spettacolo di Alice nel paese delle meraviglie, messo in scena in forma itinerante all’interno del parco. Sono previsti anche la camminata al chiaro di luna e le esibizioni di un gruppo di attori del Burkina Faso, precedute da piccole parate e dimostrazioni di danza nelle piazze e nei comuni. Oltre a cercare di attrarre il pubblico, ci siamo posti l’obiettivo di avvicinarci anche noi agli spettatori, coinvolgendo gli allievi dell’Istituto Greppi e i gruppi di lettura di alcune biblioteche brianzole che si cimenteranno con le letture shakespeariane.
Lei è direttore artistico del Festival dal 1998. Quali sono gli obiettivi raggiunti di cui va più fiero e quali sono gli obiettivi che si pone per il futuro?
Vado molto fiero di aver costruito questa manifestazione in un territorio del genere, portando tanta gente a teatro e portando alla ribalta compagnie belle anche dal punto di vista umano, sia tra i tecnici che tra gli artisti. Si crea sempre un clima bello e sono fiero di aver contribuito a generarlo, portandolo avanti e facendolo crescere. L’obiettivo che vorrei centrare è quello di dare al festival una maggiore stabilità, perché ogni anno si comincia da zero. Non c’è nulla di stabilito e basta un turno elettorale per cambiare la giunta e annullare tutto quello che si è costruito. Siamo uno dei trenta festival italiani riconosciuti dal Ministero, ma non nascondo che mi piacerebbe poter porre delle basi che non vadano per forza ricostruite ogni anno.
Davide Sica