A volte capita ancora di imbattersi quasi per caso nell’album di un esordiente che ha tutte le carte in regola per fare il botto; a volte capita ancora e quando succede la felicità diventa un sentimento molto più tangibile e concreto di quanto si possa immaginare, una gioia che si manifesta nell’ascolto ripetuto e replicato del disco in questione, fino allo sfinimento.
Ecco, questo è quello che più o meno è successo con Il lato sbagliato della strada, il primo vero album di Carlo Ozzella e dei Barbablues. Classe 1981, Ozzella è cresciuto a pane e cantautori italiani, finché nel 1996 è stato folgorato sulla via di Freehold, New Jersey: un alieno di nome Bruce Springsteen ha fatto la sua apparizione al Festival di Sanremo di quell’anno cantando The ghost of Tom Joad e per il giovane Ozzella si sono spalancate le porte della Terra Promessa americana, oltre che di buona parte della sua musica. Questo giusto per inquadrare il ragazzo e il suo background musicale: date le premesse, è naturale che Ozzella abbia incamerato tutti gli insegnamenti possibili dei songwriters italiani e americani, li abbia metabolizzati al meglio e infine riversati nella sua musica e nel suo modo di scrivere canzoni, fossero esse composizioni originali o brani da interpretare con la sua tribute band dedicata guarda caso proprio al Boss.
Tralasciando per il momento l’attività decennale insieme alla The 57th Street Band, veniamo al primo disco realizzato dal cantautore milanese: Il lato sbagliato della strada contiene 13 brani inediti, 13 distillati di puro cantautorato rock, senza tanti inutili giri di parole o altre definizioni; dal loro ascolto emergono inevitabili echi nemmeno troppo velati di Bruce Springsteen e Massimo Priviero, uniti a una scrittura agile e diretta, che punta all’immediatezza, con arrangiamenti rock infarciti, oltre che di chitarre, anche di pianoforte, sax e armonica… insomma, gli elementi del wall of sound sono una garanzia e se il rock ha ancora qualcosa da insegnare ai propri adepti, non si può dire che l’allievo Ozzella non abbia recepito la lezione, imparandola e riproponendola nel migliore dei modi possibili.
Dimostrazione pratica di tutto ciò è la bellissima Notturno, una ballad malinconica di grande spessore, impreziosita soltanto nel videoclip dalla voce come sempre perfetta di Massimo Priviero. Sullo stesso livello di bellezza anche le più tirate La tua ultima occasione, la title-track Il lato sbagliato della strada – parente stretta almeno nel titolo di quella chicca che risponde al nome di Wrong side of the street del Boss – le più impegnate e rabbiose Vite in gioco, L’ombra, Al momento della resa e Alla periferia della città: mai sentito parlare di un album chiamato Darkness on the edge of town?. Chiaro, in quest’album i riferimenti alla musica di Springsteen sono molteplici e disseminati un po’ ovunque, anche in piccoli dettagli come la bellissima copertina in bianco e nero, ma soprattutto nei testi e nelle loro tematiche: l’intro di sax in Alla periferia della città richiama non poco Spirit in the night, mentre “i cani che stanno urlando così come urlavano dieci anni fa” non possono non far pensare al ritornello di The promised land; eppure il disco è tutt’altro che prevedibile, anzi: cresce ascolto dopo ascolto.
Di pregevole fattura sono anche le altre ballate presenti nell’album: se la già citata Notturno è una cavalcata attraverso le ore più buie degna delle atmosfere magiche evocate da Racing in the street o Drive all night, Il vento quando passa mette i brividi perché nasce da una vicenda accaduta realmente al suo autore e, nello specifico, ricorda in maniera poetica la perdita di un amico fraterno: come solo la musica sa fare, il dolore viene esorcizzato dalle note e dalle parole, nella speranza che prima o poi la ferita bruci un po’ di meno. Infine, Comunque vada è splendida nel suo essere così scarna – voce, chitarra acustica e armonica – perfetta per mettere il punto conclusivo a un disco di tutto rispetto.
Tutto finito, quindi? Non ancora: alle nove tracce citate vanno aggiunti altri quattro brani scritti e cantati in inglese: per chi ha masticato rock a stelle e strisce è inevitabile confrontarsi direttamente con quel genere di scrittura e così ecco far capolino tra le tracce italiane anche l’irish-folk di Weary and proud, il rock molto Mellencamp-sound di Trough the storm, la delicatissima Full grace e l’arrembante Disillusion Town: se la prima strizza più di un occhiolino a pezzi come Save my love e I’ll work for your love, la seconda richiama direttamente quella Lucky town cantata nel 1992 da Springsteen.
Il lato sbagliato della strada è in definitiva una nitida fotografia musicale di tutto quello che Ozzella ha ascoltato durante gli anni della sua formazione, con una netta e inevitabile prevalenza per la figura di Bruce Springsteen: senza dubbio l’album risulta essere molto springsteeniano, sia nei suoni che in certi arrangiamenti, con piano e sax che si intrecciano alla perfezione e odorano di Jersey Shore lontano un miglio; ma lo è pure nei testi e nei temi trattati all’interno delle canzoni, così come lo è nell’interpretazione e nella scrittura messa in campo da Ozzella, che dopo l’EP d’esordio intitolato Dove comincia la notte trova qui la dimensione del disco intero, superando a pieni voti la prova del primo album.
In attesa del prossimo lavoro – è di queste settimane la notizia che si intitolerà Storie della fine di un’estate e verrà pubblicato già il 15 gennaio 2016! – segnatevi per bene il nome di Carlo Ozzella, perché ne sentirete ancora parlare: dal lato sbagliato della strada o da quello corretto non fa differenza, ma state sicuri che ne sentirete ancora parlare. Non posso dire di aver visto il futuro del rock and roll – qualcuno più quotato di me l’ha già affermato decenni fa! – ma questo ragazzo ha veramente tutte le carte in regola per potercela fare e dire la sua: “we made a promise”, come direbbe un signore del New Jersey diventato altrettanto famoso!
Matteo Manente