LECCO – Uno stimolante dibattito culturale che ha visto tre autori di livello confrontarsi sulla letteratura. Si conclude con un interessante scambio di opinioni e con l’assegnazione del premio a Massimo Zamboni l’edizione 2015 del Premio Manzoni al Romanzo Storico, organizzato come ogni anno da 50&Più Confcommercio Lecco. È stata quindi la storia di Ulisse, nonno fascista dell’autore, e dei suoi giustizieri a essere la più apprezzata dalla giuria popolare, che con una decina di voti in più rispetto a Il tempo migliore della nostra vita di Antonio Scurati ha assegnato la vittoria a L’eco di uno sparo. Terzo classificato, invece, 1960 di Leonardo Colombati.
Non sembrava promettere niente di buono la cerimonia di assegnazione dell’ambito riconoscimento, che si è tenuta a Lecco domenica 8 novembre presso il Teatro della Società: inizio con venti minuti di ritardo, assenza imprevista di Andrea Vitali che avrebbe dovuto intervistare gli autori finalisti e piani di conduzione della serata evidentemente saltati. E se non bastasse anche un teatro riempito solo in parte (platea) e prevalentemente da giuria popolare (54 persone) e di qualità, autorità, organizzatori e giornalisti. Pochi, quindi, i lecchesi che hanno voluto rinunciare a una calda domenica autunnale per chiudersi in un teatro e assistere a un premio letterario.
Ma, come spesso succede, le cose più interessanti avvengono quando meno te lo aspetti e quella che avrebbe potuto essere una scialba e già vista premiazione si è trasformata in un’interessante occasione di dibattito tra scrittori su argomenti che hanno spaziato dalla concezione della storia al ruolo della letteratura e del romanzo storico, fino ad addentrarsi nell’eterna diatriba tra forma e contenuto, discutendo di ritmo, trama, personaggi e linguaggio all’interno di un’opera letteraria. Dibattito, questo, che ha visto i tre scrittori, spesso in disaccordo tra loro, esibirsi in botta e risposta che hanno reso più avvincente la discussione. E qui non si possono che fare i complimenti a Ermanno Paccagnini (presidente di giuria) e Stefano Motta (membro della giuria di qualità), che hanno approfittato dell’assenza di Vitali per fare quello che tutti i buoni intervistatori dovrebbero fare: lasciare spazio agli ospiti, o meglio fare in modo che gli intervistati possano liberamente interagire e parlare di argomenti interessanti e intelligenti, rifuggendo dalle banalità che queste occasioni sembrano attirare.
Sono stati molti, come detto, i momenti interessanti del dibattito, a partire dalla discussione scaturita dalla descrizione del libro di Scurati Il tempo migliore della nostra vita, durante la quale lo scrittore ha evidenziato come ci sia un abisso tra la sua generazione e quelle dei secoli centrali del ‘900, «che sono state, allo stesso tempo, terribili e formidabili, in grado prima di distruggere l’Italia e poi di ricostruirla. Quelle generazioni – ha spiegato Scurati – hanno avuto una vita scolpita nel tempo, a differenza della nostra che sembra appartenere più al tempo della cronaca». Un libro, quello di Scurati, scritto quindi per risvegliare ciò che lui chiama il sentimento della storia, che «non si consuma nell’oggi ma che appartiene a un tempo più vasto». L’autore di Una storia romantica e Il sopravvissuto ha anche sottolineato la totale mancanza di epicità e tragicità delle ultime generazioni dell’Occidente, «cosa che non significa – ha ripreso – avere nostalgia per periodi molto più drammatici come quelli della guerra mondiale e dei regimi totalitari». Affermazioni, queste, che hanno provocato la reazione di un Leonardo Colombati che, più volte nella serata, ha dimostrato un’ottima verve da polemista, e del vincitore del premio Massimo Zamboni. I due hanno infatti criticato il collega in quanto, come spiegato da Colombati, «non si può imputare a una generazione il fatto di non vivere in un’epoca tragica». «È necessario – ha aggiunto Zamboni citando il poeta russo Mandel’stam – non temere il proprio tempo».
Proprio dal libro dell’ex chitarrista dei CCCP, L’eco di uno sparo, è partita l’altra discussione degna di nota. Il volume, che è stato definito il più musicale dei tre, ha infatti aperto una riflessione sull’importanza del ritmo e della musicalità nella prosa, allargatasi poi alla diatriba tra stile e forma contrapposti a contenuto, trama e personaggi. Un confronto, questo, che ha visto da una parte Scurati, strenuo difensore della sostanza del romanzo, e dall’altra Zamboni e Colombati. «Il romanzo italiano del ‘900 – questa l’idea di Scurati – è stato azzoppato da una esagerata ricerca dal punto di vista lessicale e verbale», tralasciando il lavoro sul contenuto. Visioni diverse quelle di Colombati e Zamboni: se l’autore di 1960, pur criticando gli eccessi di sperimentalismo formale tipici, ad esempio, del gruppo ’63, non ha mancato di sottolineare l’importanza del ritmo e della musicalità della prosa di Flaubert, molto più netto è stato il vincitore del Premio. Scarsamente interessato alla trama, Zamboni ha infatti sottolineato l’indiscussa superiorità della parola rispetto al contenuto, esattamente come «il viaggio è più importante della meta».
Ultimo stimolo della serata quello lanciato ancora una volta da Antonio Scurati, il quale, fedele alla sua impostazione descritta in precedenza, ha elogiato l’opera del Manzoni a livello di costruzione, ma ne ha intravisto un limite che ne impedisce la fruizione soprattutto ai più giovani: il linguaggio. Questo per arrivare alla provocazione finale: «sarebbe utile – ha affermato – riscrivere I Promessi Sposi con un linguaggio più attuale». Terreno fertile per un altro dibattito…
Daniele Frisco